Nuotatore travolto e ucciso. Chi è Filippo Di Benedetto e perché preferisce il carcere ai lavori sociali

Nel 2019 provocò la morte del il 22enne lecchese Chetra Sponsiello. Dopo 5 mesi di comunità, il 38enne investitore rinuncia: ritmi estenuanti, vado dietro le sbarre

Chetra Sponsiello aveva 22 anni e viveva con la famiglia a Civate

Chetra Sponsiello aveva 22 anni e viveva con la famiglia a Civate

Besana (Monza e Brianza) – Troppo gravoso l’impegno quotidiano ai “lavori sociali”, lui chiede di poter tornare in carcere. Il 38enne brianzolo Filippo Di Benedetto era stato collocato in una comunità di recupero dal novembre scorso, dove era affidato in prova ai servizi sociali in seguito a una condanna, a 7 anni e 4 mesi, per omicidio stradale con fuga e omissione di soccorso. Nel 2019 aveva travolto e ucciso il 22enne nuotatore lecchese Chetra Sponsiello senza fermarsi a verificare le condizioni della vittima.

La richiesta

Il reato per il quale il 38enne è stato condannato è fra quelli per i quali il Tribunale offre una possibilità di recupero alternativa al carcere. Ma l’uomo, stravolto dai ritmi dell’affidamento in prova, ha chiesto piuttosto di tornare in cella. I carabinieri della stazione di Besana davanti alla determinazione dell’uomo di andare dietro le sbarre hanno fatto scattare le manette per il Di Benedetto, pregiudicato anche per reati contro la persona, contro il patrimonio nonché per evasione e resistenza a pubblico ufficiale.

L’incidente

L’uomo, come detto, era ospite dal 21 novembre in una comunità brianzola dove stava scontando la propria pena con la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali: risale al 17 maggio 2019 il tragico incidente sulla Statale 36. L’incidente era avvenuto all’altezza dell’uscita di Monza centro, direzione Milano: il 22enne Sponsiello, che risiedeva a Civate, era stato investito dopo essere sceso dall’auto per verificare i danni al proprio mezzo a seguito di un tamponamento. Fu falciato da Di Benedetto, alla guida di una Opel Corsa, che poi aveva tirato dritto. Il ragazzo era morto in ospedale.

La messa in prova

Il 38enne aveva negato di essere alla guida dell’auto pirata, ma le indagini e un testimone lo avevano smentito. Emerse anche che la sera dell’incidente era alla guida ubriaco e senza aver conseguito conseguito la patente. In seguito alla condanna, Di Benedetto ha passato cinque mesi in prova e da tempo si lamentatava per i ritmi di lavoro della comunità troppo intensi: "Non ci lasciano respirare, meglio la cella che quel lavoro faticoso". Da qui la richiesta di scontare il resto della pena in carcere. I carabinieri lo hanno così trasferito nella Casa circondariale di Monza.

È il secondo caso del genere in pochi mesi. A gennaio un 48enne di Mariano Comense, affidato in prova ai servizi sociali a seguito di una condanna per guida in stato d’ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti, aveva pure lui implorato di tornare dietro le sbarre: "In carcere si fatica molto meno", aveva detto l’uomo consegnandosi spontaneamente ai carabinieri.