MONICA GUZZI
Cronaca

Esami in coppia all’università: “Così insegno ai futuri medici il valore del gruppo e l’empatia”

Monza, la sperimentazione del professor Mantegazza, docente di Scienze pedagogiche alla Bicocca: “La scuola chiede l’individualismo sui banchi, ma nel lavoro vince la forza dell’équipe”

La sperimentazione del professor Mantegazza, docente di Scienze pedagogiche alla Bicocca

La sperimentazione del professor Mantegazza, docente di Scienze pedagogiche alla Bicocca

"Fino a qualche anno fa ero scontento di come si svolgevano gli esami universitari. Non avevano niente a che fare con il modo in cui faccio normalmente lezione, che è sempre molto interattivo. Oggi i ragazzi scaricano le schede e le recensioni da internet, usano l’intelligenza artificiale. Non possiamo ignorare queste cose".

Così, al professor Raffaele Mantegazza, docente di Scienze pedagogiche al dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, è venuta un’idea: sperimentare a Monza, dove insegna a circa 250 aspiranti medici, fisioterapisti, ostetriche, infermieri, il modello dell’esame di gruppo.

Un modello che i meno giovani associano all’università degli anni Ottanta o alle generazioni della contestazione studentesca, ma che in realtà, nelle intenzioni, più che guardare indietro vuole fare un balzo in avanti, partendo da una materia delicata come la bioetica. "In generale propongo lavori in coppia – spiega il docente –. Chiaramente nel mio corso di Scienze umane questo si può fare, al contrario che in altre materie, più nozionistiche o specialistiche. I ragazzi scelgono lo strumento da utilizzare e ottengono sempre degli ottimi voti".

Il piccolo miracolo infatti è questo: al posto di livellarsi verso il basso, anche chi fa più fatica viene portato in alto grazie alla forza del gruppo. Ma l’obiettivo finale è ben più ambizioso di un voto, perché è pedagogico. "Dare l’esame con le domande dal libro non mi soddisfava più – racconta il professor Mantegazza –. In questo sistema c’è una contraddizione: continuiamo a proporre verifiche individuali, quando poi chiediamo a questi studenti, quando usciranno dall’università, di lavorare in équipe. Così mi è venuta l’idea di cominciare subito, proponendo esami in coppia o in gruppi da tre. Funziona così: metto mezz’ora a loro disposizione, senza fare domande. Loro presentano i temi affrontati durante il corso sotto forma di dialogo, di video o di performance. Mi ha colpito molto il livello di questi prodotti, perché sono belli ed è evidente che i ragazzi hanno studiato".

Ma soprattutto questo nuovo stimolo piace. "Questi lavori non si possono scaricare dal web e ci vuole tempo per realizzarli. Fra gli ultimi temi affrontati, c’è quello del rapporto affettivo e sessuale fra i disabili, affrontato dai futuri medici e fisioterapisti con grande sensibilità e serietà. Le future ostetriche invece hanno realizzato un calendario con i colori dei nove mesi della gravidanza, dove ogni colore rappresenta una condizione psicologica della donna: emergono la speranza, le diverse paure. Stiamo pensando di esporlo nei corridoi dell’università". I temi approcciati nei corsi non sono lievi: con i futuri medici e infermieri si affronta il senso di colpa, la morte di un paziente, la malattia. "Questa è la professione con il più alto tasso di burnout e di suicidi, dobbiamo insegnare al futuro medico come si accoglie una persona, o come gli si parla o gli si comunica la malattia", continua.

A colpire il docente è soprattutto la serietà con la quale gli studenti hanno accolto questi nuovi stimoli: "Non ti portano il lavoretto dell’asilo, ma progetti molto pensati. Parto dal lato emotivo per portare alla luce le loro conoscenze. E loro si aiutano molto a vicenda. Sarebbe bello che questo sistema si potesse adottare anche alle superiori".

Un invito che di fatto apre un dibattito, proprio mentre tanti ragazzi hanno deciso quest’anno di manifestare la propria insoddisfazione nei confronti della scuola, rinunciando alla prova orale alla maturità. "Si può insegnare che aiutare un compagno non è fargli copiare i compiti, perché ci sono altri modi".

Un lavoro che ha stimolato fantasia e progettualità. "Alcuni studenti si sono inventati un gioco da tavolo sulla Shoah e mi hanno fatto giocare con loro, altre due ragazze hanno portato una coreografia e hanno danzato nel cortile dell’università. Certo, tutto questo è possibile se si è lavorato in aula in un certo modo – conclude il professore –. Questo genere di lavoro in passato veniva fatto ad Architettura, con studenti di altissimo livello. Un metodo poi abbandonato per un’altra filosofia, quella dell’università come erogatrice di servizi. Si chiede individualismo a scuola e capacità di lavorare in gruppo sul lavoro. Per fortuna i ragazzi sanno creare socialità".