
Il centro di prima accoglienza di via Monte Oliveto era stato salutato lo scorso anno con molta diffidenza
Monza – L’allarme è rientrato. A un anno di distanza dalle polemiche sull’apertura di un nuovo centro di accoglienza per stranieri in via Monte Oliveto a Monza, si può dire che il sistema oggi garantisce un livello di servizi in grado di fare fronte alla domanda richiesta e senza problemi particolari di ordine pubblico.
Il capoluogo brianzolo accoglie più di 200 migranti di media, di cui una quota maggioritaria nei due Cas (Centri di accoglienza straordinaria) di via XX settembre e di via Monte Oliveto, gestiti da due cooperative sotto il controllo della prefettura. Un’altra parte è accolta dalla rete Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), costituita da appartamenti distribuiti sul territorio, gestiti da cooperative per conto del Comune (a sua volta sovraordinato dal ministero dell’Interno) con l’accesso a servizi di integrazione e inclusione sociale: insegnamento della lingua, programmi per l’autonomia abitativa, formazione professionale e orientamento al lavoro.

“Per ora non abbiamo avuto segnalazioni di particolari problemi o disordini nei Centri di accoglienza, se non un piccolo problema legato ai rifiuti, poi corretto, in via Monte Oliveto – chiarisce l’assessore al Welfare Egidio Riva –. Lì so di una presenza di almeno un’ottantina di ospiti, mentre sono circa 70 quelli del Cas di via XX settembre. La gestione è ordinata, ma come amministratore non posso che preferire l’accoglienza nel Sai piuttosto che i Cas”.
“Il Cas offre un tetto, il pranzo, la cena e poco altro, senza l’insegnamento della lingua e l’accompagnamento nel territorio – precisa l’assessore –. Spesso gli ospiti si trovano durante il giorno a non fare nulla. Alcuni trovano lavoro, ma gli altri? Nel Sai hai invece l’insegnamento dell’italiano, l’inserimento lavorativo, tanti servizi che offriamo come Comune, seguendo chi è in condizioni di fragilità e proponendo attività culturali”.
Le situazioni limite il più delle volte incrociano il mancato insegnamento della lingua italiana e le difficoltà di avere continuità nell’accoglienza - se per esempio, durante il periodo di ospitalità si è ottenuto il permesso di soggiorno ma non si è riusciti a trovare lavoro e non si ha nessuno su cui appoggiarsi - a scelte personali. “Quando uno straniero arriva, dovrebbe essere lo Stato ad avere un sistema organizzato che provveda all’insegnamento della lingua, ma così non è – osserva Matteo Furcas coordinatore di “Diritti insieme“ con Anna D’Amato –, questo è lasciato, molto spesso, all’iniziativa di ognuno e dunque al Terzo Settore. Un salto di qualità si avrebbe se ci fosse un sistema di co-programmazione e co-progettazione di questo servizio tra Terzo Settore ed enti locali, con entrate per più anni garantite, a differenza di quanto avviene con l’alea dei bandi”.

La domanda, d’altra parte, c’è ed è in crescita. Dal 2012 Diritti insieme ha moltiplicato i suoi corsi di lingua, contando oggi 22 insegnanti volontari. Altre realtà molto attive sono le parrocchie, con corsi di italiano che si tengono a San Carlo, San Giuseppe, San Gerardo, San Biagio. Per i diritti degli immigrati, i riferimenti a Monza sono lo Sportello Informastranieri del Comune e quelli dedicati in Cgil e Cisl.