
di Marco Galvani
A chi gli chiedeva se nelle corse contasse di più il cervello o il cuore, lui rispondeva il cervello. Perché "sono capaci tutti di tenere aperto l’acceleratore, ma se non sei capace di fermarti a cosa serve? Non solo nelle corse. Anche nella vita". Al Tino Brambilla è "sempre piaciuto vincere". Lui, l’Ernesto della Monza che l’ha tirato su a pane e motori, fratello di Vittorio (1937-2001) che ha corso in Formula Uno e vinto il Gp d’Austria 1975 con la March arancione Beta sotto il diluvio, il guascone del volante che incantò persino Enzo Ferrari. Lunedì Ernesto Brambilla è morto nella sua casa di via Boito. In silenzio come ha vissuto negli ultimi anni. Così se n’è voluto andare. A 86 anni. Niente funerale, nessuna funzione civile o religiosa. Ma non è escluso che dopo il prossimo Gp di Formula Uno a Monza i suoi vecchi amici vorranno ricordarlo. In testa i fratelli Consonni: Peo, abile meccanico da corsa che ha voluto dedicare al Tino persino un Cd chitarra-voce “La ballata del campion“, e Walter al quale l’Ernesto ha affidato il suo “testamento“ in un libro di ricordi. Di una Monza che non c’è più, quella delle “bilottate“ e di quel gruppetto di "amici motociclisti e un po’ guasconi" che si ritrovava al bar all’inizio di via Mentana per "discussioni e commenti su corse e moto. Magari anche qualche scommessa".
“Ul Bar di Stupid“, l’aveva ribattezzato il Tino. Cresciuto prima nell’officina di papà Carlo in via Bellini, poi sulle piste di tutto il mondo, cominciò correndo in moto: cinque campionati italiani in tasca fra 125 e 250, tanti podi con la 175 ma mai il titolo.
Erano gli anni del motorsport spavaldo e coraggioso. Moto e poi auto. Nel 1968, quando in Formula 2 la Ferrari non ne imbroccava una da troppe stagioni, un bel giorno il Tino decise che "di gelati non ce n’è più per nessuno". E il 13 ottobre a Hockenheim portò la ’Dino Ferrari’ alla sua prima vittoria conquistando pure la gratitudine di Enzo Ferrari. Tino l’avevano ribattezzato “il duro“ perché "i bastoni fra le ruote te li mettevano e dovevi sgomitare per venir fuori". Eppure era buono, sempre disponibile. Schietto con tutti. Pure con Enzo Ferrari al quale non nascose che la Ferrari 512 "è un tram".
Come il fratello avrebbe potuto andare in F1. Era il ’69 e doveva correre il Gp d’Italia nella sua Monza al volante della Ferrari. Ma non seppe resistere alla tentazione di provare la Paton 500 che Vittorio avrebbe dovuto portare in gara nel Gp delle Nazioni a Imola. Per un guasto al cambio finì a terra all’uscita del Curvone. Si rialzò ammaccato. I medici gli impedirono di scendere in pista. Occasione svanita. Ma il Tino resterà "un grande pilota di innato talento e dalle innumerevoli vittorie", uomo "coerente e singolare protagonista di una vita avventurosa".