La stretta sullo smart working è la "goccia che ha fatto traboccare il vaso", per i lavoratori del consorzio interuniversitario Cineca. Un ente che tra gli altri obiettivi "promuove la transizione digitale" dove, in questi giorni, è scoppiata una inedita protesta, con uno sciopero nell’ambito di una mobilitazione indetta dai sindacati Cgil, Cisl e Uil.
"Alcuni sono stati costretti a licenziarsi proprio per l’impossibilità di conciliare lavoro e vita privata – spiega Mario Grasso (Uiltucs) – chiediamo a Cineca di tornare sui suoi passi e di aprire un dialogo sulla nostra piattaforma di proposte". Confronto che potrebbe partire il prossimo 30 settembre, quando è previsto un incontro. Sono 63, fra impiegati e quadri, le persone che lavorano nella sede milanese di Cineca, su un totale di 1.137 dipendenti a livello nazionale, in varie città. Al consorzio aderiscono 70 atenei italiani, 2 ministeri e 46 istituzioni, che hanno dato vita a uno "tra i maggiori centri di calcolo in Italia e uno dei più avanzati al mondo per il calcolo ad alte prestazioni", fornitore di soluzioni e servizi per il mondo dell’università e della ricerca.
Le relazioni con i sindacati, però, sono arrivate a un punto di rottura, anche per il nodo smart working. "Finora una parte consistente dei dipendenti ha usufruito di uno smart working pieno – sottolinea Grasso – e di una buona flessibilità, considerando ad esempio che diversi dipendenti sulla sede di Milano vivono in realtà in altre città e si occupano di mansioni che si possono anche svolgere da remoto. L’azienda, unilateralmente, ha deciso di imporre delle modifiche, stabilendo un limite massimo di 10 giorni mensili di smart working. Poi c’è il tema della reperibilità, che sta peggiorando le condizioni di lavoro, costringendo alcuni a connettersi dal treno o da casa. Chiediamo a Cineca di tornare sui suoi passi, perché il tema dello smart working dovrebbe essere trattato nell’ambito della discussione sul rinnovo del contratto integrativo".
Una protesta scoppiata al termine di un’estate segnata da assemblee e incontri. "Nel corso dell’ultima riunione – spiegano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs – abbiamo ribadito, come organizzazione sindacale unitariamente alle rappresentanze sindacali aziendali, che era necessario da parte della direzione il ripristino delle condizioni organizzative precedenti alle modifiche imposte in questi mesi. Quindi riprendere gli accordi individuali, sottoscritti sulla base delle regole definite nel contratto integrativo, ad oggi modificati per restituire alle persone la condizione lavorativa che hanno applicato in questi anni".
Questo passaggio, per sindacati e lavoratori, è "indispensabile" per una serie di ragioni, in testa lo stravolgimento della vita dei dipendenti organizzata tra attività lavorativa e impegni personali sulla base dei precedenti accordi. Alcuni avevano infatti concordato forme di smart working "esteso" come condizione per poter lavorare nel consorzio e, a fronte delle modifiche nell’organizzazione del lavoro, hanno finito per rassegnare le dimissioni, cogliendo altre opportunità di lavoro.