MARIACHIARA ROSSI
Economia

South-working, casa-ufficio al sud e stipendio a Milano: l’ultima frontiera del lavoro agile

Le sorprendenti evoluzioni dello smart-working dopo la pandemia: ecco i racconti di chi ha lasciato il capoluogo lombardo senza rinunciare al posto di lavoro

South-working: l'ultima frontiera del lavoro in remoto

South-working: l'ultima frontiera del lavoro in remoto

Milano, 3 settembre 2023 – Il futuro del fare impresa parla digitale. Lo smart working aveva esordito durante la pandemia prima del ritorno ai ritmi tradizionali dell’organizzazione aziendale. Il fenomeno, però, ha continuato a crescere tra i giovani che vogliono trovare un equilibrio tra vita privata e professionale e nelle start-up di recente fondazione: la tendenza è quella di garantire massima flessibilità, nelle modalità e negli orari, con l’obiettivo di creare un ambiente soddisfacente e allo stesso tempo stimolante. ll minimo comune denominatore di tutte le realtà che scelgono di convertirsi al full-remote o almeno al titolo di remote-friendly è la consapevolezza di abbattere i costi reciproci, unita ad una maggior responsabilizzazione dei dipendenti, raggiungendo come effetto principale un incremento delle performance. Una scelta che presuppone un margine di rischio e un cospicuo investimento nella formazione dei lavoratori e nella conversione degli spazi, che al momento interessa le piccole aziende o le macro.

Di riflesso, a dimostrazione che il fenomeno esiste e assume forme diverse, sono nati progetti di promozione sociale come South Working - Lavorare dal Sud. Nato nel 2020, stimola e studia il fenomeno del lavoro agile a distanza, in particolare dal Sud e dall’interno dell’Italia, con il proposito di colmare il divario economico e sociale sul territorio grazie alla remotizzazione del lavoro.

Le interviste

Il consulente

“Sono stato per quindici anni lontano da casa tra Londra, Mosca e Singapore, prima per motivi di studio e poi per lavoro. Nel 2018 ho deciso di prendermi un anno sabbatico e di tornare nella mia città d’origine, Bari, lì ho avuto l’illuminazione”. Nicolò Andreula, consulente strategico di 38 anni, ha preso spunto dalle esperienze che aveva accumulato in giovane età per dare voce ad una comunità di lavoratori da remoto che in terra pugliese avevano pochi stimoli intellettuali e soffrivano di solitudine. “Ho studiato a Milano in Bocconi ma lavorare al Sud è una scelta di vita e con un network di persone giuste le opportunità non mancano nemmeno qui”. Non solo nel 2018 fonda Disal, società di strategia e storytelling per grandi aziende, ma anche un progetto di promozione del territorio “A Bari Capitale Digitale“ in collaborazione con la regione Puglia, in cui studenti ed esperti di tutta l’Italia digitale si incontrano a Bari per conoscersi e confrontarsi su modi innovativi e sostenibili di lavorare, formarsi e crescere come professionisti e comunità. “I ragazzi che ho assunto hanno fatto esperienze in grandi città e si sono resi conto che l’equilibrio personale vale più di ogni cosa”.

La Ceo

“Lavoro in Way2Global da anni ma è nel 2017 che c’è stata la grande svolta. L’azienda è rinata come società benefit, attenta alla sostenibilità sociale e ambientale, con un grande impegno sul lato empowerment femminile e climate positive” spiega Laura Gori, Ceo della srl milanese. Il modello di business proposto, a metà tra il profit e il no profit, si basa sulla convinzione che lo “smart working è un atto di fiducia e un dono di libertà”, mentalità che ha incoraggiato l’azienda con sede in Cadorna, su richiesta dei dipendenti, a mutare completamente il proprio assetto aziendale sposando la causa del lavoro agile. Una scelta, che a detta di Laura Gori, ha fornito risultati immediati. “Non tornerei mai indietro. Oggi abbiamo quindici dipendenti e tutti lavorano in smart working in modo affiatato. La conversione ha implicato un investimento non indifferente: ridimensionamento del quartier generale e integrazione di momenti di socializzazione online. L’idea è che se ti prendi cura dei dipendenti, loro si prenderanno cura dell’azienda”. Lavorare in remoto non implica esclusivamente operare da casa, motivo per cui i colleghi si incontrano per attività ricreative e momenti di confronto in sedi di coworking sparse in tutta Italia.

La project manager

“Ho studiato mediazione e traduzione specializzata e sono partita tre anni fa per uno stage formativo all’estero. Per diverse motivazioni di gestione aziendale ho vissuto un’esperienza orribile. Ero sicura di non voler continuare lì, così, cercando su LinkedIn ho notato che Way2global presentava tutte le caratteristiche dell’azienda che cercavo, mi sono subito candidata e oggi lavoro come project manager da casa, a Messina” racconta Rosy Bertuccio, 28 anni. La possibilità di realizzare progetti che aveva messo in stand-by da tempo, in contemporanea con l’opportunità di svolgere il lavoro dei proprio sogni, non sono certo condizioni comuni a tutte le realtà lavorative. “All’inizio ho avuto bisogno di una fase di adattamento, perché ero abituata al contatto diretto, ma è servito poco tempo per adeguarmi alla nuova organizzazione”. L’appagamento professionale è una conseguenza diretta di un ambiente “sano“, sotto tutti i punti di vista. “Gestisco progetti di traduzione, lavorando a stretto contatto anche con clienti internazionali e mi occupo di assegnare i programmi al nostro team di produzione. Il futuro dove mi porterà? L’idea è quella di trasferirmi per un po’ in Portogallo”.

La coworker e consulente

“Ho conosciuto Nicolò, il titolare di Disal, attraverso la community dei global shapers, una realtà composta da 10mila under 30 che realizzano progetti per le città. Quando ho finito il mio mandato a Bari, ho colto al volo l’offerta che mi ha proposto: posso continuare a promuovere la mia terra e nel frattempo sviluppare una comunità di coworkers”. Laura Larocchia 25 anni, un anno fa viveva Milano: “I benefici? Più che concreti. Qui con 600 euro mi pago un appartamento in affitto con vista mare, a Milano nemmeno una stanza. I miei amici spendono tutto il loro stipendio in affitto, supermercato e aperitivi con i colleghi. Questa non è vita”. La parte più bella di operare come consulente libera dal dover timbrare il “cartellino“ è “la sfida di costruire un team complementare da remoto che riesce comunque a portare valori a dei clienti sparsi in tutto il mondo”. La questione sembra virare verso una differenza di “visione“ generazionale “In certe aziende c’è un problema culturale, molti non capiscono che la conversione totale allo smart working potrebbe risolvere il problema delle città deserte”.