
Il lavoro da casa è una caratteristica sempre più milanese
Milano – Il primo dato è quello di uno smart working diventato strutturale, a Milano, nella maggior parte delle grandi imprese. Il secondo è una diretta conseguenza: grattacieli che si svuotano e spazi da riconvertire, come dimostra l’operazione sulla Torre B Unicredit in piazza Gae Aulenti, subaffittata a società dopo il trasferimento dei dipendenti della banca nelle altre torri o negli uffici a Lampugnano. L’eredità della pandemia e i cambiamenti nel modo di lavorare sono fotografati da una ricerca della Uil Milano e Lombardia.
Nella Città metropolitana si concentra circa un terzo delle persone in smart working in Lombardia, proprio per l’alta concentrazione, in un tessuto economico basato principalmente sul terziario, di impieghi che possono essere svolti anche da casa. Sono 235.630, secondo la stima del sindacato basata anche sull’ultimo rapporto nazionale dell’Osservatorio del Politecnico, i lavoratori in smart nel Milanese, su un totale lombardo di 705.352. La quota più alta nelle grandi imprese (121.445 persone), seguita dalle micro imprese (42.902) e dalla pubblica amministrazione (37.622).
Un dato che va letto considerando che nella Pa si concentrano numerose funzioni non “smartabili“, dall’istruzione alle forze dell’ordine e alla sanità. Nelle piccole e medie imprese, invece, sono 33.661 i lavoratori in smart. Sul totale degli occupati a Milano circa il 20% usufruisce dello smart working, con diverse sfumature. Proporzioni simili, con le differenze legate al numero degli occupati e al tessuto economico che caratterizza i singoli territori, anche nelle altre province lombarde. Dopo Milano, è Brescia la provincia con il maggior numero di persone in modalità lavoro agile (85.420), seguita da Bergamo (79.131) e Varese (61.074).
Fanalino di coda è Sondrio (11.679), la provincia meno popolosa. "Rappresenta uno strumento importante per promuovere la flessibilità, il benessere e la conciliazione vita-lavoro – spiega Salvatore Monteduro, segretario della Uil Lombardia – ma allo stesso tempo sottolineiamo l’importanza di garantire una regolamentazione equilibrata che preveda tutele e salvaguardie, evitando lo sfruttamento o la precarizzazione delle condizioni di lavoro". Un risultato incassato è la proroga del lavoro agile: nel privato fino al 31 dicembre sia per i lavoratori fragili e genitori con under 14, mentre nella Pa fino al 30 settembre solo per i fragili.
Il primo fattore deve essere il "benessere del lavoratore", ma la realtà è fatta anche di problemi emersi durante il lavoro a distanza obbligato dalla pandemia e mai risolti, a partire dagli orari di lavoro dilatati e fuori controllo. La stragrande maggioranza dei lavoratori usufruisce di una modalità mista, di solito due o tre giorni alla settimana a casa e gli altri in ufficio, mentre la “settimana corta“ finita l’anno scorso al centro del dibattito è per ora limitata a poche e isolate sperimentazioni.
Sistemi che, nelle multinazionali e nelle realtà più strutturate, sono stati regolati attraverso accordi con i sindacati, con “pacchetti“ più o meno flessibili. E si apre il grande tema del benessere in azienda, con uffici che si sono riorganizzati seguendo l’onda delle nuove modalità di lavoro: aree relax e spazi comuni, postazioni flessibili e computer portatili al posto dei terminali fissi. "Coinvolgimento nella vita aziendale, luoghi fisici per rilassarsi e controllo fisico-medico dello stress sono i fattori chiave per il benessere in azienda", spiega Giancarlo Manzoni, responsabile e master coach di E-Consultant, società milanese di formazione aziendale.
"Staccare almeno tre volte al giorno per almeno per 5 minuti – prosegue – consente di riequilibrare il sistema come se fosse una sorta di pit stop, di calibrazione. Ed è importante farlo in un ambiente adatto".