Simona Molinari, anima argentina: "Io tra Mercedes Sosa e Maradona. Svelo la mia missione d’interprete"

L’omaggio alla cantora e al Pibe de oro: "Non intendo l’applauso come una gratificazione dell’ego"

Simona Molinari, classe 1983, origini napoletane, porta sul palco le opere di Mercedes Sosa, voce argentina degli ultimi

Simona Molinari, classe 1983, origini napoletane, porta sul palco le opere di Mercedes Sosa, voce argentina degli ultimi

Milano – «Il canto è una cerimonia d’amore tra l’artista e il pubblico" diceva quell’icona di resiliente fermezza che è stata (e rimane) Haydée Mercedes Sosa, la “cantora” argentina che Simona Molinari e Cosimo Damiano Damato omaggiano giovedì prossimo sul palcoscenico del teatro Carcano di Milano con i dialoghi immaginari e immaginati de “La Negra y El Pelusa”. “La Negra” è ovviamente l’indimenticata Pacha Mama, santa patrona, repertorio classico sudamericano, mentre El Pelusa è Diego Armando Maradona, pibe de oro e mano de dios, protagonisti di una “cerimonia” legata all’ultima esperienza discografica della Molinari “Hasta siempre Mercedes”. In scena il Sudamerica Quartet, arrangiamenti e direzione musicale del maestro Valentino Corvino.

Simona, come s’è trovata ad incrociare l’impegno artistico e civile della Sosa?

"Quello di “Hasta siempre Mercedes“ un progetto a cui tengo molto. Un giorno il regista, drammaturgo, scrittore Cosimo Damiano Damato (appena tornato in libreria con “Fuori piove una canzone di Jannacci“, ndr ) che mi ha proposto d’interpretare assieme uno spettacolo su Maradona con musiche della sua terra. Ho preso al volo l’occasione dicendo però che avrei voluto unire la narrazione del “Pibe“ a quella di un’altra grande argentina come la Sosa. “La Negra y El Pelusa“ è il risultato di questo incontro".

E il disco?

"Mentre lavoravamo allo spettacolo ho pensato di approfondirne l’aspetto musicale in un album immerso nelle note e nelle passioni della mia eroina a cominciare da classici come “Gracias a la vida“ e “Todo cambia“, senza rinunciare agli echi mediterranei dell’inedito “Nu fil’ e voce” di Bungaro o di una “Caruso“ impreziosita da un arrangiamento d’archi realizzato in quegli studi Fonoprint dove Dalla registrò la sua versione originale. Ho voluto pure degli ospiti, Ovvero Paolo Fresu in “Canciòn de la simples cosas“ e Tosca in quella “Mon amour“ che la Sosa eseguiva con il catalano Nilda Fernández".

Perché “Hasta siempre”?

"Perché Mercedes è un personaggio universale, con cui continueremo a trovarci e ritrovarci per molto tempo ancora. Durante l’esilio a Parigi e Madrid, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, con le sue canzoni di denuncia e di speranza la Sosa ha raccontato al mondo il lato oscuro della dittatura argentina ispirando le nuove generazioni ai valori di pace e libertà".

Cosa rimane in Argentina del “Movimiento del Nuevo Cancionero”?

"Vista la criticità del momento che sta passando, l’Argentina sembra assistere a un ripetersi della sua storia. Con sofferenze di cui a volte si fatica a capire il senso".

Mercedes diceva di “aver superato il lusinghiero momento degli applausi per restare nella pura gioia del canto”. Capita pure a lei?

"Pure io a cantare per me stessa non trovo più alcun gusto. Quindi non intendo l’applauso come una gratificazione dell’ego, quanto piuttosto la testimonianza che il messaggio è arrivato. Che la mia missione d’interprete s’è compiuta".

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