ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Salmo è tornato: “Il mio ranch in Gallura, Milano non è più quella di prima. Pensavo di essere cattivo (ma non è così)”

Il rapper presenta l’ultimo album e la serie di 16 video che lo raccontano per immagini. “A quarant’anni è il disco dell’autoanalisi. Lucio Corsi? Ha un’arma imbattibile: la sincerità”

Salmo (pseudonimo di Maurizio Pisciottu), sardo di Olbia, classe 1984, rapper, attore e produttore discografico

Salmo (pseudonimo di Maurizio Pisciottu), sardo di Olbia, classe 1984, rapper, attore e produttore discografico

Milano – È grido di terra, di identità, di lotta e di speranza, quell’Ave Maria “piena di rabbia” che Salmo mette in apertura del nuovo album “Ranch”, in uscita venerdì prossimo, con la voce aspra e graffiante di una gloria del folk isolano quale Maria Carta. Quella di “Su pizzinneddu”. “Io il mio ranch me lo sto costruendo pietra su pietra in Gallura, ma penso che chiunque se ne possa creare uno in testa, pure a Milano” spiega il rapper sardo parlando di questa sua nuova fatica discografica nella città da cui è fuggito per tornarsene in Sardegna a respirare l’aria di casa.

“Sì, mi sono trovato in situazioni pericolose e ho pensato che non era più la Milano di prima”. Meglio il ranch. Anche se quello di video e photocall è posticcio, ricreato in Bulgaria sul set utilizzato nel 2018 da Sylvester Stallone per girare “Rambo: last blood”, ultimo capitolo della saga. “Ho cercato un concept visivo parallelo alla storia del disco, provando ad immaginarmi come potrebbe essere la terra nel pieno della guerra tra razza umana e intelligenza artificiale con finale a sorpresa, perché i video sono 16 come le tracce del disco e bisognerà vederli tutti per capire il senso della storia” racconta Salmo, atteso con l’instore tour di “Ranch” sabato prossimo (alle 16) alla Mondadori di Piazza Duomo. Tutto in attesa del Lebonski Park, il concertone in agenda il 6 settembre a Fiera Milano Live per mettere sulla strada un World Tour atteso in altre sei città italiane e poi Spagna, Inghilterra, Francia, Germania, Svezia, Stati Uniti, Canada e, forse, Messico e Giappone. “Ma l’evento di Rho è diverso da tutti gli altri, pensato per sprofondare i fans in un clima da festa di paese, con giostra, toro meccanico, pungiball, tiro a segno, chioschi vari, finché non si aprono i cancelli… e parte l’inferno”.

Sedici tracce sono tante.

“Il disco è venuto fuori da solo perché al tempo avevo altri progetti. Stavo lavorando per Sky alla serie tv ‘Blocco 181’ e relativa colonna sonora (è appena uscita la seconda stagione, ‘Gangs of Milano - Le nuove storie del Blocco - ndr), ma anche al mio libro ‘Sottopelle’. Per motivi di copione mi ero cambiato l’identità, diventando Snake e l’idea del ranch è nata dall’isolamento in cui viveva il personaggio in lotta coi propri demoni che m’ero cucito addosso”.

Una sola collaborazione, con Kaos in “Bye bye”.

“Scelta doverosa, credo. Perché è stata la persona che mi ha ispirato più di tante altre. Da ragazzino ero molto timido, avevo i denti storti, e vivevo un grosso disagio. Cercando di reagire, mi sono imbattuto in un live di Neffa dove ad un certo punto compariva lui e si mangiava la scena. Una folgorazione, perché è stato quello il momento in cui mi sono detto: voglio fare rap”.

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Un brano s’intitola “Il figlio del prete”.

“È nato guardando l’impressionante docuserie ‘Vatican girl’ e mi sono immaginato una pista alternativa per risolvere il caso della sparizione di Emanuela Orlandi criminalizzando, appunto, il figlio del prete”.

“Ranch” è il disco dei suoi quarant’anni.

“Già, non sono più un ragazzino. A questa età devi tirare una riga sul passato capire chi sei e farti un’autoanalisi. ‘Ranch’ è proprio questo. Il rap ti dà sicurezza, una scarica di ego, inizi a sentirti qualcosa, a sentirti qualcuno, a sentirti importante, a volte pensi di essere anche un duro. Io mi ero convinto anche di essere un po’ cattivo, poi a quarant’anni mi sono reso conto di essere una brava persona”.

Lo dice pure Lucio Corsi.

“Lo apprezzo molto, perché nelle sue canzoni usa un’arma che in questo momento premia moltissimo: la sincerità. Soprattutto in un momento in cui molti vogliono dare l’idea di essere dei supereroi”.

E i rapper che a Sanremo diventano pop?

“Potrei farlo anch’io. Ma forse nessuno mi direbbe niente, perché fin dai primi dischi ho abituato il pubblico a seguirmi nei cambiamenti. Se lo fa uno come Tony Effe, che ha un personaggio ben definito, magari qualcuno non accetta. E sia chiaro che a me lui piace. Ha avuto coraggio, ma l’esibizione è stata brutta”.

È vero che ha rifiutato un milione di euro per fare il giudice di X-Factor?

“Sì, nel 2019 quando poi andò Sfera Ebbasta. Affrontai una serie di provini e mi trovai bene. Ma stavo già lavorando alla serie tv. Non è stata, dunque, una questione di soldi”.