Milano, 30 aprile 2017 - Vivere con sofferenza e faticoso senso di libertà, senza cedere al mito della famiglia felice. E attraversare dunque l’area oscura che segna la relazione tra genitori e figli, il nascere e il rinascere. Temi cardine di letteratura, religione, storia, psicanalisi. Ne è buona interprete Teresa Ciabatti in “La più amata”, Mondadori. Raccontando come la protagonista, superati i 40 anni, decida di fare luce sulla figura del padre, che da bambina l’ha viziata e protetta ma poi costretta ad attraversare le ombre d’un rapimento, l’angoscia del silenzio, l’omertà. Romanzo forte e inquieto. In cui il padre mitizzato rivela invece un animo incupito dalla passione del potere, dai traffici segreti della massoneria, dalle complicità con ambienti criminali. Il racconto di formazione si tinge di “noir”. La figlia, per ritrovarsi finalmente adulta e più libera, deve mettere da parte le illusioni del “superuomo”. Ci riesce? Senza disperazione. Con un filo di ironia. Il padre è biologico. Ma il sentimento di paternità può essere elettivo, frutto di comunanze di sogni. Come succede a tre bambini, Mimmo, Cristofaro e Celeste per Totò “il rapinatore” nelle pagine di “Borgo Vecchio” di Giosuè Calaciura, Sellerio. Vivono in un quartiere di piazze popolari e vicoli miseri a Palermo. Soffrono la durezza di padri violenti e madri silenti. Immaginano avventure e riscatto. E scelgono come riferimento Totò, orfano di rapinatore, rapinatore lui stesso, poco incline alla violenza e affettuoso con quei bambini. L’epilogo ha sapore di tradimento e morte.
Eppure, nonostante tutto, grazie al sacrificio di Carmela, puttana per mestiere obbligato e madre generosa, Mimmo e Celeste possono affrontare il mare e cercare una speranza di possibile felicità. Essere genitori, appunto, significa costruire per i figli non solo eredità, ma soprattutto libertà. Come spiega Massimo Recalcati in “Il segreto del figlio”, Feltrinelli, costruito attorno alla rilettura del mito di Edipo (l’uccisione del padre) e alla parabola evangelica del “figliol prodigo”. Si riflette sui temi della Legge, del perdono e del riconoscimento dell’Altro come sintesi dell’atto d’amore (sta appunto nell’amore, la sostanza dell’essere genitore). Illumina in modo originale il senso del “sacrificio di Isacco” imposto da Dio ad Abramo (non un atto crudele ma un gesto simbolico per “slegare” il figlio dal padre). E usando citazioni bibliche, letterarie, filosofiche e psicanalitiche, smonta la propaganda “ipermoderna” della paternità come dialogo e indica “un’altra via”: “Non quella della valorizzazione, spesso retorica, dell’empatia, ma del riconoscimento che la vita di un figlio è innanzitutto una vita altra, straniera, differente, al limite, impossibile da comprendere. Non è, la sua vita, un segreto indecifrabile che deve essere rispettata come tale?”. Essere figli consapevoli. E padri capaci di vivere bene il proprio “superamento”.