
Maurizio Nichetti durante le riprese di “Amiche mai“; sotto una scena con Serra Yilmaz e Angela Finocchiaro
Milano – In principio, nel 2018, c’era l’idea di un road movie “facile”, in giro per l’Europa, con due donne e un letto su un pick-up giallo limone. Che già incuriosiva parecchio. Poi, sulla strada, Maurizio Nichetti si è scontrato con una pandemia, inondazioni, incendi, guerre e content creator. “Insomma, sono stati anni complicati, che sono entrati nel film”. Un film nel film, Amichemai, tratto da tante storie vere. Il ritorno di Nichetti alla regia, 23 anni dopo. “Me lo continuate a ripetere voi che è passato così tanto tempo, io non me ne sono accorto: vi do una notizia, dopo una certa età gli anni volano, si dileguano, per me ne saranno passati due dall’ultimo film”.
Cosa l’ha spinta però a tornare alla regia?
“Non mi mancava quel tipo di allenamento: sono sul set tutti i giorni con i ragazzi del Centro sperimentale di Cinematografia, insegno alla Iulm. Ma sono stati determinanti due incontri, uno con una bella storia e l’altro con un produttore che ci ha creduto. E mi sono fatto incastrare da Angela Finocchiaro, che ha voluto guidare in un road movie: oggi con le mille tecnologie che esistono, l’intelligenza artificiale e il teatro virtuale, guidare mentre reciti è eroico. Angela mi ha detto: “Se non guido non mi sento vera“. Mi ha fatto tenerezza per 1.500 chilometri”.
Siete stati fianco a fianco sin dal primo viaggio, “Ratataplan“. Con Amichemai è la chiusura di un cerchio o siete già pronti per nuove imprese?
“Chissà. Adesso l’impegno massimo è dedicato ad Amiche mai, per farlo vedere al pubblico, accompagnandolo nelle sale, dove si riunisce un pubblico di cinefili che vuole uscire di casa per vedere un film che è fatto per essere visto al cinema”.
Qual è il suo rapporto con la tecnologia? La abbiamo vista uccidere un drone...
“Il drone ha avuto quello che si merita. Ero ironico, ho le mie idee, ma gli ultimi 15 anni li ho trascorsi nelle scuole, nelle università, tra i giovani. E ho vissuto tutte queste tecnologie con loro, abbiamo sperimentato insieme. Il complimento più bello l’ho ricevuto da uno spettatore alla “prima“: “Sembra un film fatto da un ragazzo che gioca con i telefonini“. Sono diversamente giovane, mi sono divertito. E forse tutta questa divisione tra pubblici, per età e categorie, non ha più molto senso”.
Per questo film ha lasciato anche la “sua“ Milano.
“La verità? Per dirla in maniera onesta, l’on the road permetteva di contenere il budget. Nella prima stesura immaginavo di partire da Milano, ma quando è nata la candidatura di Serra Yilmaz, attrice bravissima e complementare ad Angela Finocchiaro, ho capito che arrivare in Turchia da Milano era un po’ lungo. Così ho pensato a questo viaggio metaforico, che sin dalla prima tappa esce dall’Italia. Trieste era ideale, si è già alla frontiera, vicini al Balcani, si entra subito nell’avventura”.
E si asfaltano stereotipi, chilometro per chilometro.
“È così: se mettessimo in macchina persone che riteniamo lontanissime da noi, per vissuti e appartenenze intellettuali, ci scopriremmo molto più vicini”.
Torniamo a Milano.
“In fondo c’è anche in “Amichemai“, è nelle atmosfere e nelle idee. Io sto bene a Milano, ci sono nato: nella sua freddezza ti dà tanti stimoli. In fondo, quando De Sica e Zavattini hanno girato Miracolo a Milano sono venuti qui. Per assurdo a Roma le scope non volano mentre nella città più concreta e legata al business le favole possono succedere: si può attraversare la città con un bicchiere d’acqua magico, si può diventare cartoni animati o entrare nelle pubblicità”.
Favole e realtà: qui dirige il Festival “Visioni dal mondo“.
“Nei miei film parlo della realtà in modo favolistico, ma il documentario è l’altra mia grandissima passione, insieme alla scuola. Insomma, non sentivo la mancanza del cinema ed ero pieno di impegni... mi ha proprio incastrato Angela”.
Ma si è divertito. Come sta il cinema oggi?
“Tutte le forme di spettacolo hanno avuto un loro secolo magico, il circo, la lirica, anche il cinema. Poi diventano terreno per cinefili, melomani, amanti del teatro, cambiano. Però i linguaggi inseguono tecnologie nuove, tra pochi mesi si potrà doppiare un film con la voce degli attori che parlano lingue diverse, sincronizzando il labiale. Se fossi un doppiatore sarei disperato, da regista posso essere entusiasta. Dipende dal modo in cui si utilizza l’IA e dalle idee, che devono venire agli autori, per aprire nuovi mercati”.