FEDERICO MAGNI
Cronaca

La cresta maledetta del Karakorum: tre italiani sfideranno la montagna inviolata da 67 anni

Secchi, Gheza e Carrara sul Gasherbrum IV sulle orme di Bonatti e Mauri: tenteranno la via del 1958 che non è mai stata ripetuta. “Cercheremo di scendere volando per evitare la seraccata degli italiani, uno dei punti più pericolosi”

Il Gasherbrum IV, cima del Karakorum di 7.925 metri

Il Gasherbrum IV, cima del Karakorum di 7.925 metri

BORMIO – Lassù, sull’immensa cresta Nord-Est del Gasherbrum IV che taglia il cielo del Karakorum fino a sfiorare gli ottomila metri, nessuno ha mai più ripercorso le orme di Walter Bonatti e Carlo Mauri, che il 6 agosto del 1958 piantarono sulla vetta di 7.925 metri le bandiere dell’Italia e del Pakistan. A coordinarli dal campo base c’era Riccardo Cassin, Fosco Maraini documentava la vita sul ghiacciaio attraverso il suo obiettivo. In 67 anni nessuno è ancora riuscito a ripetere quella via. Ci proveranno questa estate tre alpinisti lombardi con una spedizione patrocinata dal Cai. Federico Secchi, guida alpina di Bormio, il camuno Leonardo Gheza e la guida bergamasca Gabriele Carrara, partiranno sabato per il Pakistan. “Il nostro obiettivo è una delle montagne più eleganti, complesse e meno salite dell’Himalaya”, fanno sapere i membri della spedizione. “Un progetto che unisce alpinismo, storia e una documentazione visiva inedita. Sarà un’avventura autonoma, in puro stile alpino”.

SPEDIZIONE GASHERBRUM IV
Il camuno Leonardo Gheza, il valtellinese Federico Secchi e il bergamasco Gabriele Carrara

Con gli alpinisti ci sarà anche Ettore Zorzini, fotografo e videomaker, che seguirà la spedizione fino a quota 6.100 metri, e poi con riprese aeree. Fu lui l’anno scorso a documentare con un drone l’arrivo solitario di Secchi sulla vetta del K2. Immagini che tolgono il fiato. “L’anno scorso, andando al K2, mi sono ritrovato davanti alla parete Ovest del Gasherbrum IV. È qualcosa di irresistibile: “voglio provarci“, ho pensato. Sarei voluto andare con Marco Majori, mio compagno al K2, ma aveva altri progetti, così ci siamo ritrovati io, Gheza e Carrara con la stessa idea: ripercorrere le orme di Bonatti e Mauri.

Perchè nessuno in tutti questi anni ci è mai riuscito?

“Non ci sono stati poi così tanti tentativi, credo sia dovuto al fatto che il GIV non è una montagna di ottomila metri. In quel caso qualcuno prima o poi ci sarebbe riuscito”.

Quali sono le difficoltà?

“Bonatti parlava di quarto e quinto grado sulla cresta. Ma ci sono punti pericolosi da attraversare prima di arrivare lì e soprattutto la famosa “Seraccata degli italiani“, dove si verificano spesso crolli. È una sezione della via abbastanza pericolosa. Però, nemmeno a farlo apposta, siamo tutti e tre piloti di parapendio e l’idea è quella di volarci sopra evitando di attraversarla il più possibile. Dovremo per forza percorrerla in salita ma per scendere abbiamo intenzione di volare. In questo modo, in discesa, potremmo evitare di passare troppe volte dalla seraccata. Non porteremo le vele in vetta, ma sicuramente fino all’attacco della via”.

Cosa si prova a ripercorrere le orme di due alpinisti come Bonatti e Mauri?

“È un bel peso da portarsi dietro, speriamo di riuscirci e magari salendo troveremo anche qualche chiodo del ’58. Sarebbe un’emozione fortissima”.

Cos’era il GIV? Era la provocazione pura! Tentare la scalata era in quel periodo la maggiore sfida che si potesse lanciare all’intero ambiente dell’alpinismo mondiale”, commentò Bonatti a chi gli chiedeva della loro impresa, senza sapere che quel pensiero oggi sarebbe ancora attuale. In tutti questi anni le tecnologie a disposizione degli alpinisti hanno trasformato il modo di andare in montagna. Mauri e Bonatti affrontarono la pericolosissima “seraccata” e poi la temibile cresta con un estenuante assedio, armati di piccozze di legno. Impossibile fare paragoni con l’epoca attuale, soprattutto perché le condizioni climatiche possono aver reso la montagna ancora più pericolosa.

Però gli scalatori in alta quota oggi possono contare su preziosi sistemi “gps”, telefoni satellitari e previsioni meteo dettagliate. In tanti anni di tentativi però la via che regalò a Bonatti la rivincita sulla tormentata vicenda dal K2 è ancora lì in attesa che qualcuno la ripeta. Così Bonatti descrisse l’arrivo in cima: “Finalmente dopo grandi fatiche e rischi arrivammo sull’anticima. Ci prese un dubbio. Ci sembrava che fosse questa più alta della supposta vetta che era a 300 metri. Avevamo già vinto dunque? Per non sbagliare fu naturale andare a fare anche l’altra cima, passando per una difficilissima cresta chiamata “Conca lucente”. Trovammo così tutte le certezze della vittoria”.

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Riccardo Cassin durante la spedizione del 1958

Nonostante la sua grande forza di attrazione la storia alpinistica del Gasherbrum IV è abbastanza breve. Nel 1985 l’austriaco Robert Schauer e il Polacco Wojciech Kurtyka realizzarono il loro epico “tentativo”. Due visionari sulla parete Ovest. Riuscirono a superare la grande muraglia in stile alpino, ma dovettero rinunciare alla cima. Il mito della “Shining wall” era nato. L’anno successivo, il 1986, una spedizione australiana-americana salì in vetta lungo la Cresta Nord Ovest. Nel 1997 i coreani dalla parete Ovest e nel ’99 fu ripetuta per la prima volta la via australiana-americana. Nel 2018 una spedizione militare italiana formata da Valerio Stella, Maurizio Giordano, Marco Majori e Daniele Bernasconi stava tentando la ripetizione della via sulla cresta Nord-Est, quando avvenne un incidente proprio per colpa del crollo si un seracco che si portò via il caporal maggiore scelto Maurizio Giordano.

GASH
Il Gasherbrum IV, cima del Karakorum di 7.925 metri