PIERO LOTITO
Cultura e Spettacoli

"Delitti e vecchi merletti", misteri e cronache dal passato

Il giornalista Gabriele Moroni nel suo libro scava nei gialli d'Italia. Dal '700 fino al dopoguerra

Gabriele Moroni

Milano, 14 luglio 2018 - Ci sono casi di cronaca che fanno storia, e altri addirittura "la" storia, non può sfuggire la differenza. Tra l’uno e l’altro crinale si pone il lavoro di Gabriele Moroni, uno di quei cronisti infaticabili che non si fermano mai, neppure quando essi stessi scrivono che il caso è chiuso. C’è sempre qualcosa da chiarire, da scavare, da raccontare. E Moroni ha il ritmo del "passista": va via con una pedalata ampia e uniforme che stronca tutti. Con il volume 'Delitti e vecchi merletti' (Mursia), che raccoglie venti esemplari "casi di cronaca nera che hanno fatto storia" (è il sottotitolo), l’autore sembra appunto obbedire a una interiore necessità, una sorta di vocazione: raccontare quei fatti che hanno avuto origine e svolgimento tipici della cronaca nera, ma che hanno lasciato nell’aria - e nei rapporti di polizia, nelle testimonianze ancora reperibili - qualcosa di incompiuto, ancora da decifrare e illustrare. Storie nate apposta, verrebbe da dire, per i cronisti alla Moroni, che sanno bene come ogni verità nasconda almeno due altre attendibili interpretazioni. Spaziano, le venti storie di 'Delitti e vecchi merletti' (forse col titolo si poteva fare di meglio), dalla fine del ’700 all’immediato, secondo dopoguerra, abbracciando buona parte dell’Italia: dal Piemonte alla Lombardia, fino in Puglia e in Sicilia.

Si tratta di gialli? Sono forse noir della più schietta razza? Chiariamo meglio: non c’è un rigo, in 'Delitti e vecchi merletti', che sia frutto di immaginazione. Ogni storia è presa dalla cronaca del tempo e fatta rivivere nei suoi personaggi, nelle sue date, nelle sue minute circostanze, con gli approfondimenti e gli arricchimenti dovuti a quel consumo di scarpe cui sempre si allude, in una redazione, parlando di un cronista che ama, e sa fare, il suo mestiere, frequentando biblioteche e archivi, i luoghi dei fatti e quelli di riferimento. Nulla è lasciato inevaso da Moroni, che comincia col raccontare della bestia sconosciuta che nel 1792 terrorizzò le campagne del Milanese dilaniando decine di giovani pastori: case barricate, preghiere, impotenza delle istituzioni. Un lupo, soltanto un lupo fece tutto questo? Poi passa a scandagliare nel destino di Cristina di Belgioioso, la "prima donna d’Italia", che - scopriamo - coltiva un amore impensabilmente profondo. Eccolo in seguito portare il lettore nelle campagne del Ravennate, in località Mandriole, dove in pochi giorni, nell’agosto del 1849, si consuma uno dei misteri più inquietanti, con Giuseppe Garibaldi che, caduta la Repubblica Romana, viene braccato con la moglie Anita da austriaci e francesi. La giovane eroina, incinta per la quinta volta, morirà in queste terre e in queste circostanze: forse stroncata dalla fatica, o invece uccisa, come diranno più referti medici? Tutto comincia con la mano di un cadavere che affiora nell’erba di un pascolo di Mandriole: il cadavere di una donna, seppellita alla meglio, che porta al collo i segni inequivocabili di uno strangolamento. Ma come è possibile, se lo stesso marito, il Generale, l’ha vista spirare tra le proprie braccia, prima di affidarne il corpo per una dignitosa sepoltura a volenterosi contadini?

Moroni elenca, descrive, incalza e cuce il tutto con scrupolo di cronista e, al tempo stesso, con gusto letterario, provvisto di disincanto ma anche velato di pietas per circostanze e personaggi di terribile destino, che, pur lontani dai nostri giorni forse più efferati, si propongono come modelli e tipologie del soffrire: nell’intrigo e nella violenza pura, nella menzogna e nel falso, nell’onnipresente mistero. Lo ricorda anche Sandro Neri, direttore de 'Il Giorno', nella sua prefazione, quando sottolinea l’eterno riprodursi di certe «meccaniche» del nero: un ritorno sempre colto dai cronisti di razza, che fanno propria una delle più beffarde "regole" del giornalismo: "non c’è niente di più inedito che una notizia già uscita". E Moroni, che da una vita dipana sul 'Giorno' storie gialle e nere, rivela in 'Delitti e vecchi merletti' una grande sapienza e un’abilità davvero non comune. Conosciamolo meglio.

Storie di sangue e di angoscia, che il passare del tempo rende a volte perfino - passi la parola - divertenti. Una stortura?

"È un processo naturale. Un cronista della storia, come io mi considero, agli occhi dei suoi contemporanei riporta le vicende anche più lontane per come furono vissute. Un personaggio come Simone Pianetti, autore d’una strage, diventa ai suoi tempi, nel 1914, una sorta di eroe socialista: sulla sua vicenda si fanno fumetti, si scrivono ballate. Il cronista non ci mette niente di suo, recepisce il mistero di una persona che ammazza e sparisce. Ma Pianetti è davvero sparito? È stato aiutato? Il cronista storico deve tener conto del contesto, di ciò che matura attorno ai suoi personaggi".

Come sono state scelte le venti storie?

"Punto di partenza è la mia rubrica 'Gialli in frac' pubblicata dal 'Giorno'. Storie diverse, nelle quali, tuttavia, le componenti della cronaca nera - la vita e la morte, l’amore, il denaro, il sesso - si ritrovano tutte. Ma ci sono anche i gialli politici, come in 'Morte di un generale', e i gialli delle alte frequentazioni, come ne 'Il baule dell’orrore', dove vengono citati i nomi di Farinacci, Mussolini, e anche quello di Carlo Emilio Gadda".

Un cronista che scrive libri. Metamorfosi o continuità?

"Non avverto un gran salto mentale tra le due attività. Cerco le fonti, i testimoni, studio i documenti. Cambia l’approccio, questo sì: il cronista vive anche di approssimazione, ma conta il suo modo di avvicinare i fatti. Intervengono poi il metodo e l’accuratezza del ricercatore, il potersi dire: 'Oh, ho tempo per scrivere, per cambiare!'. Non incombe più la chiusura della pagina, non si scrive più per ieri, come capita al cronista".

C’è sempre un nuovo progetto, quale sarà il prossimo libro?

"Sarà per il centenario della nascita di Fausto Coppi, nel 2019. Ho già scritto su di lui, ma vorrei tornarci. Coppi è l’eroe della mia infanzia, la prima persona per la quale ho pianto, la mia prima cognizione del dolore: avevo 8 anni. Ero con mio nonno Luigi, quando lo vidi correre, forse al Circuito degli assi a Rho. 'Guarda! Guarda Coppi!» mi disse sollevandomi sopra le teste davanti a noi'".

E come annunciò, nonno Luigi, la morte del Campionissimo?

"'Devo darti una brutta notizia' disse. Pensai alla morte del nonno d’un mio amico, associando l’idea della morte alla vecchiaia. Invece, si trattava di Coppi. Mi rifugiai a piangere nel sottoscala di casa, a Parabiago, dove sono nato".

Non c’è niente da fare: Fausto Coppi è nella storia, e con la storia il cronista Gabriele Moroni ha sempre una partita aperta.