FABRIZIO LUCIDI
Cultura e Spettacoli

Francesco Vidotto, la montagna e il romanzo di una rinascita: “Io, scrittore dopo un attacco di panico. Lavoravo troppo, mi sentivo morire allo specchio”

Vent'anni da manager, classe 1975. “Onesto” è l’ultima opera dopo il long seller “Oceano” e il suo manifesto: “La società iper-performante? La competizione social? Tempo sprecato. La vita mi era scappata di mano. Ho scoperto la scrittura dopo un incontro con Pupi Avati”. L’intervista a cuore aperto

Francesco Vidotto

Francesco Vidotto

Milano, 5 febbraio 2025 – “Onesto”. Il titolo del libro. Ma anche il manifesto di vita di Francesco Vidotto, classe 1975, vent’anni da direttore generale di grandi aziende. Poi, la svolta. Dopo un attacco di panico alle 3 di notte, una delle tante passate in albergo dopo giornate di lavoro senza sosta, agende piene. “Mi sembrava di morire, davanti allo specchio. Poi, dato che non morivo – sorride oggi –, ho capito semplicemente che la vita mi era scappata di mano. E ho deciso di tornare bambino, di lasciare la città per tornar su, tra le montagne della mia infanzia con i nonni, a Tai di Cadore”. Dal giorno dopo, ha cominciato a costruirsi il piano B. E grazie al successo di “Oceano”, long seller da 120mila copie passato di mano in mano solo grazie al passaparola, il sogno si è tramutato in realtà. Francesco, oggi, vive di scrittura. “Non ho più l’orologio, ho ritrovato la serenità”. Oggi 5 febbraio Vidotto presenterà “Onesto”, ancora secondo in classifica tra i libri più venduti di narrativa italiana, alle 18.30 alla Libreria Monti (viale Monte Nero 15, Milano).

Di recente ha ricordato, e l’ha fatto dire anche a un suo personaggio, che dopo la seconda sua bocciatura alle superiori suo nonno le disse, “se puoi fai meglio”. E in quel “se puoi“ c’è un mondo...

“In quel “se puoi” c’è l’accettazione, la saggezza dei nonni che ne avevano passate tante e avevano una visione serena del mondo. L’esatto contrario della logica iper-performante della società odierna, della competizione anche sui social dove tutti devono avere il fisico più bello, l’auto più potente, il viaggio più emozionante: alla fine di tutte queste cazz...te resta un pugno di mosche, una vita sprecata. Per trovare serenità bisogna accontentarsi. La felicità è un attimo, una vita serena è una vita ben spesa”.

Come la sua oggi a Tai di Cadore?

“Esatto. E mi sono accorto anche che chi è più sereno, spende meno – sorride –. Tante spese sono dovute all’insoddisfazione, alla necessità di riempire i vuoti della vita”.

Come ha trovato la via della scrittura?

“Nel 1995 andai ad ascoltare a Conegliano il regista Pupi Avati, alla fine dell’incontro chiede: “Qualcuno può accompagnarmi con l’auto in aeroporto?”. E io, poco più che un ragazzo, mi offro. In auto gli parlo della mia passione per la scrittura, anche se ho studiato poi Economia e Commercio per far felici i miei genitori. Mi chiese di mandargli un mio scritto, gli consegnai una copia del mio romanzo “Il Selvaggio”. Dopo dieci giorni, mi chiama a casa: “Francesco, tu nella vita devi scrivere“. Detto da lui, che di sogni realizzati se ne intende visto che faceva il rappresentante della Findus ed è diventato uno dei più grandi registi, mi diede grande forza. Ma non scelsi di seguire me stesso. Il piatto sul tavolo, il mutuo, le spese, la carriera. Ma poi, dopo quella crisi di panico nella notte del 2015, tornò tutto. E decisi, dal giorno dopo, di inseguire il mio sogno, il mio essere. Lavoravo la mattina e il pomeriggio, la sera magari mi facevo 200 chilometri in auto tra andata e ritorno per presentare il mio libro. Oceano per 5 anni è stato il libro più letto in Friuli, Veneto e Trentino: oltre 120mila copie grazie solo al passaparola”.

Il segreto del suo successo?

“Le mie sono storie di cuore, quando scrivo tiro fuori le viscere. L’emozione non si crea, si trasferisce e io provo a farlo sulle mie pagine. Poi, soffro di una lieve dislessia, e leggo lentamente. Ogni mio romanzo, lo rileggo ad alta voce almeno cinque volte prima di darlo alle stampe: così, leggendo e rileggendo, cancello aggettivi, parole per renderlo sempre più accessibile, a tutti, per lasciare spazio e libertà alle emozione del mio lettore. Invece di descrivere una donna bellissima, scrivo che “quella donna aveva gli occhi che stavo aspettando“. Lascio libero il lettore di immaginare. Quassù ci sono boscaioli che nella vita hanno letto un solo libro: il mio romanzo. E io ne vado fiero”.

Qual è la lezione più bella che ha imparato?

“Che ciascuno dovrebbe far ciò che è. Senza mollare tutto e subito, ma scegliendo un sogno e cominciando a inseguirlo, dal giorno dopo. Poi non importa se l’obiettivo viene centrato. Conta il viaggio... La scuola, fondamentale, fa troppo poco per aiutare i ragazzi a trovare la loro inclinazione naturale”.

Come vede i giovani dal suo osservatorio privilegiato?

“Spesso sono in giro per le scuole superiori. Nell’ultimo incontro, con 1.500 ragazzi, mi sono reso conto di una cosa: gli studenti di prima hanno ancora capacità di emozionarsi, vedo sorrisi sui volti, occhi lucidi; man mano che si passa alla seconda, sempre meno. E così via fino agli studenti di quinta. Perché? Sono troppo abituati a sorrisetti e smorfie social, passano oltre, credono che la realtà sia quella e perdono la capacità di emozionarsi. A questo dovrebbe pensare di più la scuola, a emozionare. Le tecnologie - social compresi - sono un bellissimo strumento. Ma se si allontanano dall’anima, diventano un grande pericolo”.

Quale momento è per la montagna in letteratura?

“Un bel momento. Prima andavano solo i romanzi sul mare, da Moby Dick in poi, quando la gente non si poteva muovere. Oggi che con pochi euro su un aereo si va dall’altra parte del mondo, si cercano le tradizioni, le salde radici della terra. E torna d’interesse la montagna”.

E quale periodo è oggi per la montagna in generale, partendo ad esempio dal caso Roccaraso?

“Dico sì agli impianti di risalita se consentono ai giovani di montagna di non scappare a Padova o a Milano, ma gli danno un posto da maestro di sci o guida alpina. E dico sì ai B&B, con lo stesso obiettivo: non spopolare, come invece sta succedendo, i nostri paesi. Non sono un purista della montagna, come sento definirsi in tanti. Poi gli chiedi: “Ma tu dove vivi?”. E ti rispondono “Padova”. Lancio un appello alla politica locale: devono imparare a “confezionare la montagna”: recuperare antiche strade, il legno come materiale, i nostri stabiè”.

Un messaggio che l’ha commossa?

“Ero in una splendida libreria di Bassano per un incontro, si è avvicinata una ragazza e mi ha messo in braccio un bimbetto di un mese e mezzo. “Francesco, questo è Oceano. L’ho chiamato così perché il giorno prima del parto avevo finito di leggere il suo libro”. Mi sono sciolto dall’emozione...”.

Lei va a caccia di storie tra bar e locali di montagna. Qual è la prossima?

“Stavolta sarà contemporanea. Un adolescente che si trasferisce in montagna. È in difficoltà, resta in qualche modo ancorato a logiche della città, finché non incontra Aria, una ragazza il cui nome vale già un romanzo, che lo porta nel suo mondo, la montagna”.

C’è già la data di uscita visto il successo dei precedenti libri?

“Non firmo mai un contratto se non ho scritto il romanzo. Il giusto sarebbe scrivere un libro ogni due anni, avere qualcosa da dire di importante, non tradire i lettori. Se no, “un bel tacer non fu mai scritto”. L’ideale sarebbe uscire nel giugno del 2027. Intanto vedo colleghi scrivere più di due libri all’anno, andare in tv a parlare di tutto. Io preferisco restare fedele a me stesso”.