Emmanuel Carrère racconta il processo Bataclan: “Sconvolto dalle testimonianze delle vittime”

L’autore francese allo Strehler per presentare il suo ultimo lavoro: ha seguito per dieci mesi le udienze sugli attentati di Parigi del novembre 2015

Emmanuel Carrère

Emmanuel Carrère

“Un mistero povero, non affascinante” quello racchiuso dai 14 imputati al processo del secolo al terrorismo islamico. Nessun fascino del male in questo caso per Emmanuel Carrère oggi, lunedì 27 marzo, a Milano sul palco dello Strehler per parlare di “V13”, l’ultimo libro (uscito per Adelphi) che raccoglie i suoi articoli sul processo del Bataclan.

La banalità del male

V come venerdì, 13 come 13 novembre 2015, la notte di sangue in cui Parigi fu attaccata dal commando jihadista che fece 130 morti (fra cui l’italiana Valeria Solesin) e circa 350 feriti tra la sala concerti del Bataclan, lo Stade de France e diversi bistrot. Quelli finiti a giudizio sono Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto fra gli autori degli attentati terroristici, e la rete di complici perché gli assassini del commando della morte o si sono fatti saltare in aria oppure sono stati uccisi. «Ma anche i veri assassini non sarebbero stati molto più appassionanti degli imputati. Di solito chi si interessa di cronaca trova più interessante seguire i criminali rispetto alle vittime. Qui è successo il contrario: chi ha parlato in nome delle vittime ha rivelato una qualità umana profonda, con esperienza di vita e morte sconvolgenti. Chi ha parlato in nome dell’imputato o gli imputati stessi ha reso una testimonianza piena di stereotipi: è stato un susseguirsi di identità senza alcun interesse” ha rimarcato l’autore dell’Avversario, intervistato da Daria Bignardi.

Empatia per le vittime

Ogni mattina, per quasi dieci mesi, Carrère si è seduto nell’enorme "scatola di legno bianco” fatta costruire appositamente e ha ascoltato il resoconto di chi ha perduto una persona cara o è scampato alla carneficina, i silenzi e i balbettii degli imputati, le parole dei magistrati e degli avvocati. Le cronache di V13 sono uscite sull’Obs e riprese da varie testate in Europa, anche in Italia, ma il libro è più lungo di un terzo rispetto a quanto uscito sui giornali. “Non ho l’impressione che ci sia una divisione fra letteratura come forma nobile e il giornalismo come forma subordinata. Lo considero a tutti gli effetti un genere letterario” ha spiegato l’intellettuale francese. Nel libro però c’è meno spazio per l’io rispetto alle opere precedenti: “Nel passato mi si è rimproverato di essere troppo presente: credo che questa volta non mi possa essere mossa questa obiezione”. 

Commozione profonda

A turbarlo in quei mesi la deposizione dei sopravvissuti, dei genitori, parenti o amici del lutto “eravamo tutti sconvolti, tornavamo a casa la sera in lacrime. Erano essere umani messi completamente a nudo davanti a noi”. “Sconvolgente” la testimonianza di una giovane donna, Maya che era al bistrot Carillon con 4 amici, fra cui suo marito: lei è l’unica sopravvissuta. “La sua testimonianza è stata lunga di 40 minuti. Dopo i primi 5 ero in uno stato emotivo che io raramente ho provato nella vita” ha sottolineato Carrère. “All’inizio del processo provavo un po’ di scetticismo nei confronti di questa enorme macchina che sembrava una sorta di pubblicità per giustizia. In realtà ognuno in questo processo ha svolto il suo ruolo con grandissimo rigore. Qualcuno ha commentato che si poteva fare così o come Guantanamo.

Pensiero alla Russia

La domanda è se una risposta come questa è la nostra forza o la nostra debolezza”, ha sottolineato lo scrittore francese. “È la nostra forza”, ha ribattuto Bignardi. “Lo penso anch’io” le ha fatto eco Carrère. Con un pensiero finale per la Russia: “Non sono stato ancora in Ucraina ma avrei soprattutto voglia di andare in Russia, credo si stia trasformando in una distopia assoluta”.

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