ENRICO CAMANZI
Cultura e Spettacoli

The Dining Rooms: “Nei nostri brani il suono della strada, dai carruggi ai quartieri spagnoli”

Stefano Ghittoni, metà del duo milanese fondato nel 1998 con Cesare Malfatti, racconta il nuovo disco Songs to make love to e l’approccio al songwriting in coppia

Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti, i the Dining Rooms (Max Cardelli)

Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti, i the Dining Rooms (Max Cardelli)

Milano, 18 giugno 2024 – In quella sala da pranzo si gustano piatti raffinati cucinati da due chef di lungo corso, ma sempre attenti alle suggestioni che propone loro il mondo in cui si muovono ormai da quasi quarant’anni. I the Dining Rooms, duo formato da grossi calibri dell’underground milanese come Cesare Malfatti (La Crus e, agli inizi degli anni ‘90, Afterhours) e Stefano Ghittoni (Peter Sellers and the Hollywood Party e una miriade di altri progetti), ha appena pubblicato il suo decimo lp in studio (più cinque di remix) in 26 anni di carriera. Oltre uno ogni due anni. Songs to make love to s’inserisce nella continuità di una formula rodata che non rinuncia, però, a sorprese e colpi d’ala, sfumature che compongono un quadro sempre differente e mai scontato. Ne parliamo con Stefano Ghittoni, reduce anche dagli apprezzamenti per il suo libro sulla scena milanese anni ‘80 Milano Off 1980-198X. 

In cosa il nuovo disco si differenzia dai precedenti?

“Songs to make love to continua la saga del nostro classico suono tra folk psichedelico, atmosfere cinematiche e ritmiche in bassa battuta di ispirazione hip-hop. Come sempre diviso in brani strumentali e vocali il disco è interamente suonato e prodotto da me e Cesare e vede le partecipazioni delle voci di Chiara Castello (I’m Not a Blonde), Egeeno (del collettivo romano Tropicantesimo) e del compagno di etichetta Tomaz di Cunto, alias Toco.

La particolarità di questo disco però è l’approfondimento delle tematiche antropologiche e etnomusicologhe tante care ad Alan Lomax (docente, esperto di canto popolare e musica folk, scomparso nel 2002, ndr). Quindi il classico suono di The Dining Rooms si fonde, soprattutto negli strumentali, con alcune registrazioni ‘sul campo’: i classici field recordings, come li intendiamo adesso, siano essi i suoni dei carruggi genovesi, della darsena milanese, dei quartieri spagnoli di Napoli piuttosto che il suono di Istanbul o di San Paolo”.

Ci puoi spiegare come nasce una canzone dei Dining Rooms e come vi "dividete" il lavoro?

"In genere io inizio il lavoro creativo, lavorando su un sample e/o un ambientazione primaria, anche melodica. A questo punto quando esiste già uno scheletro della canzone lo passo a Cesare che lo sviluppa, melodicamente e a livello di arrangiamento. Poi il brano ritorna da me, che lavoro sul edit definitivo. Ovviamente ci possono essere pezzi che richiedono più passaggi tra di noi ma diciamo che in linea di massima la formula del ping pong è quella vincente e la più utilizzata”.

Se dovessi paragonare Songs to make love to a un film, quale sceglieresti? E a un'opera d’arte?

"Come si intuisce anche dal titolo ‘Songs to Make Love to’ è anche un disco sull’amore, sull’atto esplicito di quando ci si ama ma anche e soprattutto sulla costruzione dell’amore, sulle dinamiche delle relazioni amorose all’interno e all’esterno della coppia, amore libero e liberato, senza vincoli e al di fuori dell’idea di possesso che tanti danni sta creando nella nostra società. Se dovessi pensare a un film penserei a ‘Storia di un Matrimonio’ di Noah Baumbach.

Qual è - se c'è - l'influenza delle vostre precedenti esperienze musicali nella poetica dei Dining Rooms?

"Penso ci sia l’influenza di ciò che abbiamo vissuto precedentemente a livello globale e quindi anche delle nostre esperienza musicali”.

Ci indichi un gruppo italiano, contemporaneo o del passato, a cui vi sentite vicini come attitudine?

"Ci sono molti produttori interessanti in Italia negli ultimi anni, ma non mi viene in mente nulla di particolare. Per quanto mi riguarda, invece, se si allarga il concetto alle produzioni internazionali, al netto delle frequentazioni e delle dinamiche più strettamente hip-hop che nel suo caso sono molto più profonde, trovo alcuni punti di contatto con Dj Shadow”.

Gli artwork dei vostri dischi sono sempre molto curati e particolari, che cosa guida le vostre scelte in questo ambito?

"Non saprei bene cosa ci guida, direi che la dimensione cinematica delle nostre copertine è sempre molto importante, quindi cerchiamo di muoverci in questa direzione. Come è successo anche in questa ultima occasione in cui abbiamo collaborato con una giovane artista italo tedesca, Tatjana Zonca”.

Siete - tu e Cesare - "navigatori di lungo corso" nella musica ma anche nell'underground. È possibile campare dignitosamente nel 2024 solo facendo musica fuori dal mainstream in Italia?

"Molto ma molto complicato, mai come in questo periodo dove il costo della vita aumenta a ritmo vertiginoso e il mercato collegato ai ‘lavori culturali’ è praticamente imploso”.