
Coez
Milano, 13 luglio 2018 - Italian graffiti. «Qualche bomboletta spray la uso ancora, ma con la vita che faccio oggi non avrebbe più senso, comunico di più con le canzoni» giura Coez nel raccontare quel passaggio da writer a rapper, anzi a cantautore, che lo porta questa sera sotto la luna di un Carroponte all’insegna del tutto esaurito. Se i rappers sono “cool”, infatti, i cantautori riscaldano il cuore della gente. Di talenti dell’hip hop passati dai palcoscenici dei club a quelli dei teatri sono piene le cronache, ma Coez è forse quello che ha saputo assecondare il cambiamento con maggior successo, centrando lo scorso inverno un tour invernale di 28 show tutti sold out già in prevendita compresi i tre show all’Alcatraz e la doppia replica al PalaLottomatica a Roma. “Faccio un casino” prometteva il titolo dell’album dato alle stampe un anno e mezzo fa e, pure in questo, il musicista di Nocera Inferiore cresciuto a Roma e residente a Milano, all’anagrafe Silvano Albanese, s’è dimostrato di parola. Merito di singoli come “La musica non c’è”, come “Taciturnal”, come la “Occhiali scuri” con Gemitaiz, ma soprattutto di un’impronta immediatamente identificabile. «Penso di avere l’appeal di un rapper, ma di scrivere le canzoni come i cantautori» ammette lui. «D’altronde si vede che sono cresciuto con il rap. E le mie rime sono le rime di un rapper. Perché nella forma sono ancora un rapper, mentre nei contenuti, nel modo di affrontare argomenti universali, sono un cantautore». In unpugno di anni i graffiti lasciati di nascosto la notte sui vagoni del metrò di Roma si sono trasformati in canzoni. E a Silvano-Coez sono bastati solo quattro album da solista dopo l’esperienza con il collettivo Brokenspeakers, fra cui l’eccellente “Non erano fiori” impreziosito dal tocco di Riccardo Sinigallia, per diventa il portavoce di una generazione in cerca di nuova musica capace di trasformare l’indie in mainstream. È il giornalista Mattia Marzi, nel sua biografia “Tu lo conosci Coez?” a tentare una lettura tra le righe dello stile dell’ex rapper indagando sui suoi demoni, sul padre che non ha mai avuto, protagonista di diverse sue canzoni, sull’amore assoluto per la madre, ma anche su passioni musicali in bilico tra Tupac Shakur, gli Oasis, i Blur e Vasco Rossi e su episodi rap come il famoso “dissing” contro Mondo Marcio. «I prodotti lanciati dalle radio, dai talent, a volte sono ben fatti, ma devono comunque risultare buoni per tutti, con suono che non deve disturbare» incalza Coez, 35 anni compiuti giusto due giorni fa. «Io, invece, non faccio calcoli, ma solo quello che mi piace e che, evidentemente, la gente cerca. Se i graffiti nel metrò erano il modo per dire ‘io esisto’, il rap ha allargato il concetto spiegando ‘perché io esisto’ lasciando poi spazio alla canzone d’autore che è diventata la chiave d’accesso al mio modo».