
Mattia, 31 anni, detenuto del carcere di Bollate è stato condannato all’ergastolo. Grazie all’articolo 21, ha la possibilità di lavorare fuori dal carcere. Poi sono arrivati anche i permessi premio. E da qualche mese è diventato papà
BOLLATE – “Sono arrivato qui con la rabbia in gola, il cuore in fiamme e il cervello ancora bambino. Avevano invaso la mia casa. Il mio posto, dove c’erano i miei genitori, soli. Nella mia testa si chiamava vendetta. Ora si chiama fine pena mai”. Sul palcoscenico del Castello Sforzesco di Milano, il 31 luglio alle ore 21, ci sarà lui, Mattia, 31 anni, detenuto del carcere di Bollate condannato all’ergastolo per un duplice omicidio commesso nel novembre 2012 ad Abbiategrasso. Il monologo “Attraverso la mia ombra” è stato scritto e diretto da Serena Andreani, prodotto dalla cooperativa Le Crisalidi con le coreografie di Federica Ghezzi, Riccardo Rizzoli, Veronica Testoni, racconta la sua storia in carcere e insieme quella collettiva. “Un flusso interiore, a tratti lucido, a tratti delirante, ma sempre profondamente umano - si legge nella sinossi del monologo - dove il carcere diventa metafora e specchio del mondo là fuori: un’umanità chiusa nei propri individualismi, condannata a inseguire libertà apparenti, mentre si rinchiude sempre più in paure, giudizi, conflitti, algoritmi”.

Dieci pagine di monologo con una linguaggio tagliente, crudo ma poetico, dai primi mesi in una cella di isolamento nel carcere di Vigevano. “Non volevo morire lì dentro, doveva esserci un finale diverso.. ma quale? Come? Nell’ipotesi migliore mi danno 30 anni. Cosa c.... c’è da riscrivere? Posso leggere. Ecco cosa posso fare. Qualcosa che non avevo mai preso in considerazione. Leggere. Un giorno, in biblioteca ho trovato una copia della Repubblica di Platone. E lì c’era il mito della caverna. Ho pensato fosse scritto per me, prima di capire, in realtà, che quella è la storia di tanti”. Poi il carcere di Pavia e infine nel 2016 il trasferimento in quello di Bollate.
“Avevo 22 anni - racconta Mattia - è stato lì che ho iniziato a chiedermi come trasformare questo “tempo sospeso” di fine pena mai, in un tempo utile, per diventare altro da quello che ero. A Bollate ci sono tante opportunità per chi vuole cambiare davvero. Ho iniziato a lavorare nel call center della cooperativa bee 4, ho ripreso gli studi in ragioneria e mi sono diplomato, poi mi sono iscritto all’università alla facoltà di Scienze dell’Educazione e ho fatto anche esperienze e tirocini in alcune realtà milanesi”.
Erano gli anni in cui Michelina Capato, registra e coreografa, sfidando giudizi e pregiudizi aveva portato il teatro (e la danza) in carcere e Mattia ha iniziato a frequentare i suoi corsi, “alla mattina andavo a lavoro, quando finivo studiavo e alla sera andavo nel teatro del carcere dove ho scoperto l’arte, la creatività, dove ho imparato a guardarmi dentro e raccontarmi e ho scoperto che sul palco stavo bene non mi nascondevo da nulla”. Mattia ha fatto alcuni spettacoli anche fuori dal carcere. Dieci anni così. Poi è arrivato l’articolo 21 e la possibilità di lavorare fuori dal carcere. Poi sono arrivati anche i permessi premio. Una compagna di vita e qualche mese fa anche una figlia.
“Nel frattempo non ho mai smesso di fare teatro, il monologo che porto in scena è stato scritto da Serena Andreani che ha riordinato decine di pagine sulle quale ho scritto pensieri, riflessioni”, aggiunge il detenuto. Parla di giustizia e vendetta, di solitudine e memoria. “Si interroga sul senso della pena, sul confine sottile tra colpa e responsabilità, tra chi è “libero” e chi non lo è”, si legge nella sinossi. Mattia non cerca assoluzioni né pietà, “sono consapevole di quello che ho fatto, so di avere rovinato la vita di due famiglie, di avere una condanna all’ergastolo, mi guardo dentro e dal carcere guardo le persone che ci sono fuori e mi chiedo: chi è davvero “il prigioniero”?”.