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Violenza sessuale, incastrato dal Dna dopo 14 anni: condannato a 13 anni e 4 mesi

L'espisodio risale all’estate di 15 anni fa nell’area abbandonata dell’ex stazione di Porta Vittoria. L'arresto lo scorso gennaio

Violenza sessuale (immagine di repertorio)

Milano -  È stato condannato a 13 anni e 4 mesi di reclusione un algerino di 49 anni arrestato il 16 gennaio con l'accusa di avere stuprato una donna nell'agosto del 2006 nel centro di Milano e che è stato individuato, a distanza di oltre 14 anni, grazie all'esame del Dna. Si tratta della decisione del gup di Milano Sara Cipolla al termine del processo abbreviato e delle indagini sul 'cold case' coordinate dall'aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo, prima archiviate e poi da loro riaperte. Di fatto sono state accolte le richieste del pm Alessia Menegazzo che aveva chiesto una condanna di 15 anni e 4 mesi di carcere. Ad incastrare l'uomo anche il fatto che la vittima, che fu anche rapinata, lo ha riconosciuto a distanza di quasi 15 anni dalla violenza subita.

La violenza nel 2006

La violenza risale all’estate di 15 anni fa nell’area abbandonata dell’ex stazione di Porta Vittoria, tra via Cena e viale Umbria. Torniamo a quella domenica. Milano è deserta, sono ancora gli anni in cui la metropoli si svuota completamente nelle due settimane centrali di agosto. Sono le 6 di domenica 20. Una donna di 41 anni, inserviente in un ospedale, sta raggiungendo la fermata dell’autobus per andare a lavoro. È l’alba, in giro non c’è anima viva. A un certo punto, si avvicina un uomo che la donna descriverà come un nordafricano sui 35-40 anni, alto circa un metro e 75, jeans e t-shirt. La solita scusa dell’informazione per approcciarsi: "Che ore sono?". Lei non capisce neppure cosa voglia e accelera il passo, anche perché quell’ombra che la segue da un po’ la preoccupa. In un attimo, lui le è addosso: la trascina con la forza tra i cespugli e la violenta ripetutamente, minacciandola con una grossa pietra. "Se non stai buona, ti ammazzo", le dice. Lei è terrorizzata, lo implora di non ucciderla: "Ho una figlia, ti prego". Resta in balìa del bruto per quasi un’ora, immobilizzata dalla paura. Poi lui la rapina di una catenina d’oro, di 20 euro e del cellulare, e sparisce nel nulla. La donna trova la forza di rivestirsi e di tornare a casa dal marito: per strada incrocia qualcuno, ma nessuno le dà una mano. Le indagini dei carabinieri partono immediatamente: il sopralluogo della Sezione investigazioni scientifiche sul luogo del brutale raid serve a repertare alcuni mozziconi, uno dei pendenti che la vittima indossava, il sasso utilizzato per intimorirla e un capello nero. Viene mandato tutto al Ris di Parma, che identifica lo stesso profilo di Dna maschile su una cicca di sigaretta e sul tampone vaginale.

Le indagini e il Dna

A chi appartiene? Il violentatore non si trova, nonostante i militari passino al setaccio per giorni i ritrovi di fortuna abitualmente frequentati da sbandati e senzatetto. La polemica politica infuria, l’allarme sicurezza torna a farsi sentire: c’è chi chiede lo sgombero della baraccopoli a due passi dal punto in cui è stata aggredita la donna, si parla di "castrazione chimica per gli stupratori". L’inchiesta finisce in un vicolo cieco, e il procedimento viene archiviato. Ed eccoci ai giorni nostri. Lo spunto decisivo per la riapertura del fascicolo arriva il 30 novembre scorso, quando gli esperti del Ris comunicano che la Banca dati nazionale del Dna (operativa da quattro anni) ha accertato una concordanza positiva, il cosiddetto match , tra il profilo genetico dello stupratore e il tampone salivare eseguito a San Vittore a un algerino arrestato nel 2017 per furto. Ripartono gli accertamenti investigativi, coordinati dall’aggiunto Maria Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo. I militari del Nucleo operativo della Monforte, guidati dal capitano Silvio Maria Ponzio, riprendono in mano il caso; ci lavorano pure alcuni dei carabinieri che indagarono nel 2006, e la loro esperienza e i loro ricordi si riveleranno fondamentali per chiudere il cerchio. Il sospettato è un uomo che frequenta assiduamente l’area della Stazione Centrale, dov’è stato denunciato per furto qualche mese fa (ha precedenti per reati contro il patrimonio e resistenza a pubblico ufficiale): è un senza fissa dimora, dorme in strada, un fantasma difficile da rintracciare.

Il blitz risolutivo

Gli investigatori iniziano la caccia nella zona dello scalo ferroviario, chiedendo informazioni anche agli operatori del volontariato che quotidianamente accolgono e sostengono i clochard. La vittima della violenza viene risentita: le viene mostrata una foto dell’algerino vecchia di quasi 15 anni, e lei riconosce senza ombra di dubbio il volto dell’uomo che l’aggredì quella drammatica mattina. Lo scorso gennaio il blitz risolutivo: il nordafricano non reagisce e non sembra neppure stupito, nonostante probabilmente pensasse di averla fatta franca. E oggi la condanna.