Novantenne uccisa al Podere Ronchetto, la confessione: "Ho perso la testa, l’ho spinta..."

Le ammissioni del presunto killer di via Pescara. I colpi con un barattolo di marmellata e i soldi rubati spesi in vino

Agenti della Scientifica sul luogo del delitto

Agenti della Scientifica sul luogo del delitto

Milano, 7 gennaio 2020 - Il tambureggiare delle mani sulle tempie: "Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?". Confuso e disperato, davanti al pm Gianluca Prisco e al capo della Squadra mobile Marco Calì. "Ho perso la testa e l’ho spinta... non volevo ucciderla...", la prima ammissione, inchiodato dai riscontri della Omicidi. Chi ha parlato con Damyan Borisov Dobrev l’ha trovato "prostrato e particolarmente scosso", quasi non si sia ancora reso conto di ciò che ha fatto. Il ventunenne bulgaro, finito in manette a meno di 24 ore dalla commissione del reato con l’accusa di aver ucciso la novantenne Carla Quattri nella tarda serata di sabato, ha ammesso sì l’aggressione, ma non ha fornito ulteriori dettagli sulla parte più cruenta del raid.

Per gli investigatori è andata così. "Damiano", così lo chiamavano tutti, si è presentato alla porta dell’anziana, all’interno del Podere Ronchetto di via Pescara, per chiedere una piccola somma di denaro, una ventina di euro secondo lui. Al rifiuto della donna, il giovane l’ha aggredita, prima tramortendola con alcuni colpi alla fronte sferrati con un barattolo di vetro contenente marmellata al melone e poi infierendo con altre botte violente alla nuca, probabilmente dopo averle coperto il capo con un asciugamani. Forse la signora Carla, sopraffatta da quel ragazzo minuto che pensava uno di famiglia, non ha fatto neppure in tempo ad abbozzare una minima reazione. A delitto compiuto, Dobrev ha spostato il cadavere dalla cucina alla camera da letto, trascinandolo per i polsi legati con un pezzo di stoffa: i certosini rilievi degli esperti della Scientifica, diretti da Nicola Gallo, hanno isolato diverse tracce sul pavimento, segno che il bulgaro ha perso la testa e ha iniziato a muoversi freneticamente non sapendo bene cosa fare. Poi il ragazzo ha iniziato a rovistare dappertutto, svuotando i cassetti e rovesciando sul letto la borsa della signora Carla: ha arraffato alcune paia di orecchini, pochi altri monili e i 150 euro appoggiati su un mobiletto di fianco alla porta d’ingresso. Quindi ha sfilato dall’anulare sinistro del corpo della novantenne la fede nuziale con l’incisione dei nomi della donna e del marito e della data di matrimonio "Nino&Carla 2.10.1957".

E poi? "Ho preso la bici e mi sono diretto verso il centro...", la risposta al pm del presunto killer, che ha balbettato di aver comprato alcolici "in un bar o in una discoteca, non ricordo" (nel cestino della spazzatura sono state ritrovate due bottiglie di vino vuote), di aver cercato di "farsi una canna" e di aver consumato drink con un fantomatico gruppo di ragazze. Parole pronunciate a fatica e tutte da verificare, nel prosieguo dell’inchiesta coordinata dall’aggiunto Laura Pedio. Intanto, la polizia ha messo insieme prove e riscontri sufficienti a sorreggere il fermo di indiziato di delitto: dalla refurtiva ritrovata nell’armadio della stanza di Dobrev (che già in passato era stato sospettato di aver fatto sparire piccole somme di denaro) all’impronta perfettamente compatibile con la suola delle scarpe calzate dal bulgaro. Senza dimenticare le dichiarazioni dei tre colleghi, che hanno indirettamente reso incongruente la ricostruzione di Damyan ed evidenziato un dettaglio strano: il rumore della lavatrice, nel cuore della notte. Nel cestello, l’ipotesi, c’erano sia i vestiti che il ventunenne indossava al momento dell’agguato sia le Nike bianche e nere, ritrovate ad asciugare su un termosifone.

Un maldestro tentativo di occultare le prove di un crimine orribile, che ha trafitto al cuore la famiglia che aveva accolto "Damiano" con generosità e amore. È stato lui stesso a mettere a verbale la storia della sua vita: dall’adolescenza di stenti nei sobborghi di Pleven, al confine con la Romania, all’arrivo a Napoli nel 2015, "dove ho passato otto mesi per strada". Poi il trasferimento a Roma ("Dormivo sulle panchine") e l’approdo a Milano, circa tre anni fa. L’infortunio a una gamba. Il ricovero in una comunità. L’incontro con uno dei figli di Carla "in una chiesa che frequentavo". Le borse di studio per tirocinio, con l’aiuto dei Servizi sociali del Comune. Il lavoro da esterno, per un progetto in scadenza a febbraio. Sabato sera l’orrore.

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