Terrorismo, non solo combattenti di ritorno. L’esperto: attenti a chi non è partito

Il rischio anche a casa

Un militare dell’Esercito in servizio in piazza Duomo,

Un militare dell’Esercito in servizio in piazza Duomo,

Milano, 1 dicembre 2019 - Due morti e feriti a Londra. Tre accoltellati a L’Aia. L’Europa torna a tremare sotto i colpi dei terroristi. Casi isolati, secondo chi indaga, come vuole la strategia jihadista degli ultimi anni. Ma bilanci pesanti. Venerdì, nella capitale inglese, l’attentato è stato programmato sul London Bridge dal 28enne Usman Khan, già condannato nel 2012 e in libertà vigilata da un anno. Nei Paesi Bassi, invece, poche ore dopo Londra, panico e terrore nel cuore dello shopping. Feriti dei minorenni, si cerca l’aggressore. L’ultimo appello è di “mamma Isis“: «Aiutatemi a tornare in Italia». All’anagrafe è Alice Brignoli, 42 anni, partita da Bulciago (Lecco) nel 2015 per un periodo di addestramento in Siria prima unirsi ai combattenti jihadisti. Lei, madre di tre figli di 7, 9 e 11 trascinati nell’inferno islamista, è «una degli 11 foreign fighter nati in Italia sui 125 partiti dal Paese», dichiara Marco Lombardi, professore di sociologia, comunicazione e crisis management all’Università Cattolica e coordinatore di “Itstime”, uno dei maggiori centri di analisi e studio del terrorismo.

Professor Lombardi, la preoccupa il ritorno di massa in Italia di questi soldati addestrati per combattere? «Non sarei preoccupato, perché il numero dei foreign fighter partiti dal nostro Paese è relativamente limitato rispetto ad altri Stati europei. Inoltre sono persone che conosciamo e monitoriamo. Sono più preoccupato per quelli che avrebbero voluto partire negli ultimi anni e sono stati bloccati dal califfato con un messaggio: “Ci servite lì”».

Com’è cambiata la strategia dell’Isis dopo la morte del califfo Al-Baghdadi? «Ha cambiato forma, ha preparato terroristi pronti a rafforzare un messaggio: “noi ci siamo, siamo presenti”. E l’hanno dimostrato».

Dobbiamo aspettarci nuovi casi nelle prossime settimane visto l’avvicinarsi a Natale e Capodanno? «Di solito, in questo periodo, il terrorismo alimentava messaggi di “pubblicità” mirata, come funziona nel marketing. Quest’anno c’è un elemento in più: il nuovo califfo vuol far vedere che c’è».

Negli ultimi episodi di Londra e L’Aia ha notato qualche novità? «Evidenzierei due aspetti: il caso inglese dimostra che la prigione non serve a redimere i terroristi. Ma la novità è l’intervento dei cittadini: c’è da una parte la consapevolezza del rischio da parte della popolazione, dall’altra la dimostrazione di saper convivere. Un messaggio che le istituzioni sono chiamate a raccogliere».

Qual è lo scenario in Italia? «La preoccupazione esiste, ma il nostro Paese può contare sulla migliore intelligence in Europa. Carabinieri e Digos lavorano con attenzione sul territorio. Non dimentichiamo che l’anno scorso abbiamo intercettato 126 potenziali minacce».

La Lombardia è tra le zone del Paese più a rischio? «C’è un po’ di rischio in più perché è la regione che, grazie soprattutto a Milano, rappresenta il cuore pulsante dell’Italia. Qui c’è più visibilità per un eventuale attacco e ci sono anche più radicalizzati. Ma è anche una delle zone più controllate».  

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