Strangolato in carcere a Opera, dalla droga agli agguati: ecco chi era Toni Cavallero

Antonio Magrini è stato ucciso dal compagno di cella per una lite sul telecomando. Aveva appena compiuto 68 anni. A ottobre la Cassazione ha respinto un suo ricorso

Il carcere di Opera teatro del delitto. Nel riquadro Domenico Massari, 58 anni

Il carcere di Opera teatro del delitto. Nel riquadro Domenico Massari, 58 anni

Milano – Aveva compiuto 68 anni il 31 marzo, meno di un mese fa, Antonio Magrini detto “Toni Cavallero“, l’uomo colpito alla testa e poi strangolato nella sua cella nel carcere di Opera venerdì sera dal suo compagno di detenzione Domenico Massari, di dieci anni più giovane, condannato all’ergastolo per l’omicidio della ex moglie Deborah Ballesio nel 2019. Non c’è stato nulla da fare per Magrini, barese di nascita come il suo assassino: quando gli agenti di polizia penitenziaria sono arrivati a soccorrerlo, era già senza vita. Si ipotizza che a scatenare le ire di Massari sia stata una lite davanti alla tivù: la vittima avrebbe cambiato il canale della tv senza il consenso dell’altro. Così Massari avrebbe raccontato agli investigatori.

Chi era, Magrini? L’uomo si era presentato spontaneamente nell’istituto di pena milanese il 23 ottobre dello scorso anno per scontare una condanna per traffico di cocaina sulla rotta Serbia-Lombardia. Una vicenda legata alla maxi operazione che portò all’arresto di 12 trafficanti di armi a giugno del 2018. Nella stessa inchiesta era stato arrestato il latitante Jakov Kontic, a capo di un grande giro di spaccio di cocaina destinata al mercato milanese, insieme a Magrini. I due erano già stati indagati nel 2006 per un traffico di droga con il clan Japigia di Bari capitanato dal presunto boss Savinuccio Parisi. Magrini presentò ricorso in Cassazione, contestando la sentenza della Corte d’Appello. Ma il ricorso fu giudicato "inammissibile" lo scorso 17 ottobre 2023 (e l’uomo si presentò in carcere una manciata di giorni dopo).

Nella sentenza si ricorda che "Magrini si era recato in Serbia il 18 giugno 2016 per definire le modalità organizzative per la fornitura di stupefacenti" e che "aveva svolto un ruolo di collegamento tra il fornitore e le attività svolte in Italia". Ancora, "in una conversazione racconta di avere ricevuto dai serbi un cellulare Blackberry da utilizzare nei contatti con Kontic, lamentandosi del fatto che questi, contro il suo parere, intendeva coinvolgere la propria compagna nell’attività illecita". In più aveva discusso "del recupero di 11 chili di cocaina".

La sentenza impugnata (quella della Corte d’Appello) richiamava quella di primo grado, indicando che "fosse proprio il Magrini a curare i rapporti con i fornitori balcanici, a impartire ordini e direttive organizzative per il ritiro delle forniture ai propri collaboratori, a fornire loro il denaro per l’acquisto della droga e a supervisionare la destinazione della sostanza alla rete di distribuzione". Ma i guai con la giustizia, per Antonio Magrini erano iniziati già in passato, quando partecipò ad agguati contro un clan rivale per il controllo dello spaccio a Baggio e a San Siro. Non solo: nel 1998 era stato coinvolto in un’indagine sull’omicidio a colpi di stampella di un venditore ambulante di frutta e verdura.

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