
Il cielo stellato
Milano – Commendatore per meriti scientifici, Gabriele Ghisellini, già dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica presso l’Osservatorio di Brera, autore di serissime pubblicazioni (450 solo su riviste internazionali), chiediamo di iniziare con una frottola: i Marziani. Li hanno davvero inventati a Milano?
“Sì! Nel 1877 Giovanni Virginio Schiaparelli, allora direttore dell’Osservatorio Astronomica di Brera, approfitta della vicinanza della Terra e di Marte (che si verifica ogni paio di anni) per osservare in modo dettagliato il pianeta rosso. E con un metodo innovativo disegna ciò che vede (non c’era ancora la fotografia), cioè i dettagli della superficie di Marte, attraversata da lunghi tratti rettilinei: canali, o “canals” (canali artificiali), come tradussero in inglese”.
Dando origine alla convinzione che Marte fosse abitato. Simpatico, il suo collega.
“Per Schiaparelli provo grande stima. Prima di osservare con tanta cura Marte, era riuscito a spiegare l’origine delle stelle cadenti: “polvere di comete”, ipotesi rivelatasi giusta. Quando la Terra interseca l’orbita delle comete, certi loro minuscoli pezzettini sono intercettati dalla nostra atmosfera e s’incendiano… mentre noi esprimiamo un desiderio”.
Da Brera, verso quali obiettivi invece lei, Ghisellini, ha puntato?
“Dal nostro Osservatorio, che a Merate possiede ben due telescopi dallo specchio di 1 metro di diametro ciascuno (non piccoli), non si osserva più il cielo per fare ricerca”.
Li si usa per divulgazione?
“Sì, il cielo sopra Milano è un disastro: l’abbondanza di luci artificiali e di polveri lo rendono inguardabile. Basta fare il confronto tra quante stelle vediamo, a occhio nudo, in una notte serena a Milano e quante stelle invece in montagna, in una notte serena, lontano da fonti luminose. Da giovanissimo potevo vedere la Via Lattea da Milano, ora è impossibile”.
Che fare?
“Ormai ci si avvale di grandi telescopi nelle isole Canarie, o Hawaii, o sulle montagne del Cile... o per mezzo di satelliti, al di sopra dell’atmosfera terrestre. È il nostro lavoro: non si mette più l’occhio all’oculare del telescopio, ma si organizzano campagne osservative complesse con gli strumenti migliori al mondo, spesso rimanendo seduti comodi nel proprio ufficio, mentre si ricevono dati dall’altra parte del mondo. Ma la gioia di scoprire cose nuove non ha uguali”.
Gioia condivisa dai lettori dell’ultima sua opera, “Astrofisica in dieci parole” (Hoepli), ai quali offre le chiavi del cielo. Per arrivare a possederle, da professionista, ha trovato un ambiente propizio a Milano?
“Il percorso che un astronomo e un astrofico deve compiere per diventare professionista richiede, in genere, cinque anni di Università, tre di dottorato (per me rispettivamente a Milano e Trieste), e parecchi di ricerca, per lo più all’estero (per me, a Copenaghen, poi in Svezia, Cambridge, Torino). Partire da Milano e “atterrare” nuovamente a Milano, è la prova che l’ambiente astrofisico milanese è propizio e importante”.
Alla fine sapete ben più dei 10 argomenti dei capitoli del libro. Uno che in particolare ha curato?
“Io mi occupo di buchi neri di tutte le taglie, e della radiazione che questi “mostri” cosmici producono. Ma in quest’ultimo libro cerco di spiegare i fondamenti della fisica in generale, e dell’astrofisica in particolare, descrivendo un argomento per volta, senza essere noioso o difficile”.
Ci riesce, confermiamo, persino cercando di spiegare cos’è la “vita“. Quanto alla possibilità di trovarla su satelliti di Giove e Saturno, la questione è non sentirsi soli nell’universo?
“Sì, ci sentiremmo meno soli, e sapremmo che non siamo unici. Sentendoci meno importanti e allargando i nostri orizzonti”.
È sempre stato così, dai tempi di Copernico. Ma a Milano si è mai sentito solo? O ha desiderato andarsene?
“Milano è stata la mia città di adozione, la città dei miei compagni di liceo, rimasti i miei amici più stretti. Mai mi sono sentito solo. E ho avuto colleghi simpatici, attivi, portatori di una carica milanese che tende a fare le cose. Un esempio: le spese, da anticipare, per un congresso all’estero, il personale amministrativo milanese è il più efficiente e veloce d’Italia a rimborsarle”.
Introduce l’ultimo capitolo, “Futuro“, citando Woody Allen: “Se l’Universo si espande, perché non riesco mai a trovare un parcheggio?”. Lo potrebbe dire anche un milanese. Più ottimistica, la prospettiva che il XXI secolo sia ricordato come il secolo d’oro della conoscenza. Favorita a Milano?
“Ottime la Statale e Bicocca, con dipartimento di astrofisica, e docenti impegnati pure nella ricerca attiva. Svolta, peraltro, all’Osservatorio Astronomico di Brera e INAF IASF (Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica cosmica). Non c’è che l’imbarazzo della scelta. (su https://poefactory.brera.inaf.it/) le iniziative, prenotatissime, per il pubblico”.