
Lavoro al femminile: donne partecipano a una manifestazione sindacale (Archivio)
Milano, 9 marzo 2025 – Una dirigente in Lombardia guadagna in media duemila euro in più all’anno rispetto alle donne ai vertici di imprese in altre regioni, ma se si compara la sua retribuzione fissa a quella dei dirigenti uomini il divario di genere è ancora più evidente. E la forbice si allarga anche se si confronta lo stipendio di operai e operaie lombarde. È quanto emerge dall’indagine di Odm Consulting, società di consulenza HR di Gi Group Holding, che monitora l’evoluzione delle retribuzioni in Italia.
Sfogliando i dati nazionali, gli stupendi di donne e uomini - a seconda dell’inquadramento - possono variare da tremila fino a 14mila euro, testimoniando plasticamente che il “gender pay gap“ non è stato ancora superato: il divario si era ridotto tra il 2017 e il 2019, ma è tornato a crescere, attestandosi al 10,4% a fine 2024.
La Lombardia
Focalizzandosi sui dati lombardi e guardando ai singoli inquadramenti, cresce il gender gap ai vertici e tra gli operai (con una differenza del 13%), si assottiglia tra i “quadri“ (- 5,5%) e tra gli impiegati si ferma al -11,3: va un pochino meglio rispetto alla media italiana che vede stipendi del 12,1% in meno per le impiegate. Analizzando la retribuzione fissa, se un dirigente in Lombardia prende 129.817 euro (a livello nazionale 125.289 euro), una donna con la stessa qualifica si ferma ai 112.884 euro (110.843 a livello nazionale).
Un operaio ha una retribuzione fissa pari a 31.166 euro (29.288 è la media italiana), un’operaia si vede riconoscere quasi quattromila euro in meno (26.905 la retribuzione fissa in Lombardia, 26.348 la media nazionale). A livello di “Quadri”, un uomo ha una retribuzione media di 68.272 euro in Lombardia, mentre a una donna vengono riconosciuti 64.492 euro. Tra gli impiegati lombardi si passa dai 40.658 euro degli uomini ai 36.052 euro per le donne.
I commenti
“Questi dati diventano ancor più significativi se letti congiuntamente a quelli sull’occupazione femminile – commenta Miriam Quarti, responsabile dell’area Reward&Engagement di Odm Consulting –. Secondo i dati Eurostat riferiti al 2023, in Italia il tasso di occupazione femminile tra i 20 e i 64 anni è pari al 56,5%, mentre quello maschile è del 76%, con un divario di 19,5 punti percentuali.
Inoltre, i dati del recente Rapporto Inapp evidenziano che il 64% dell’inattività in Italia continua ad essere femminile e risulta prevalentemente legata a esigenze di carattere familiare. Questo quadro suggerisce non solo una maggiore difficoltà per le donne nell’entrare nel mondo del lavoro, ma anche la presenza di barriere che ne limitano la continuità professionale”.
Il fattore età
Il divario retributivo uomo-donna aumenta al crescere dell’età: se nella generazione “Z“ (ovvero tra i nati tra il 1996 e il 2010) le donne guadagnano il 3,5% in meno rispetto ai colleghi uomini, la forbice è ben più larga nelle generazioni successive (-13,3% per la Gen Y, - 21,9% per la Gen X e -27,8% per i “baby boomers“, nati tra il 1946 e il 1964).
Il “gender pay gap“ è minore negli impieghi che vedono una più alta presenza femminile, come le risorse umane (-3,9%), tende ad aumentare nei settori a prevalenza maschile, come nei reparti di produzione (-15,7%), si riduce nelle aree funzionali caratterizzate da una carenza di competenze sul mercato, come nei settori più tecnologici (-3,3%) e nelle ingegnerie (-4,7%).
Resta ancora da abbattere il soffitto di cristallo, nonostante l’impegno delle aziende: “Le donne restano sotto-rappresentate nel mercato del lavoro e prevalentemente impiegate in aree funzionali di staff – spiegano da Odm, dati alla mano –. Inoltre, la loro presenza in posizioni apicali è ancora limitata: nei Cda meno del 5% delle donne presenti ricopre ruoli esecutivi e solo il 2% la carica di amministratrice delegata e, quando ricoprono posizione di vertice, raramente dispongono di un potere decisionale con impatto diretto sul business”.