
L’opera “Milano” di Mario Schifano è stata venduta a un’asta di Sotheby’s del 13 aprile 2022 al costo di un milione di euro
Milano – Smalto su carta da pacco applicata su tela. Un quadrato di 170 centimetri per 170 centimetri di pennellate blu incorniciate di bianco. Il 13 aprile 2022, “Milano”, capolavoro datato 1962 di Mario Schifano, è stato battuto a un’asta Sotheby’s per più di un milione di euro (1.072.200 euro, per l’esattezza). Quarantanove giorni prima, il 23 febbraio 2022, il proprietario dell’epoca aveva presentato all’Ufficio esportazione oggetti d’antichità e d’arte di Roma la dichiarazione prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio per l’uscita dal territorio nazionale “di oggetti d’arte eseguiti da meno di settant’anni e da più di cinquanta”, di valore inferiore a 13.500 euro.
L’istanza ha innescato un procedimento che si è concluso il 12 settembre 2022 con il decreto di vincolo dell’opera, dichiarata “di eccezionale interesse artistico e storico per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione”. Una decisione che ha di fatto bloccato in Italia il dipinto “Milano” e che è stata impugnata al Tar dal proprietario. Nei giorni scorsi, i giudici hanno confermato la scelta del Ministero della Cultura, reputandola corretta e respingendo tutti i motivi di ricorso.
Prima di entrare nel merito, urgono cenni storici sulla figura di Schifano, uno degli alfieri più celebri della Pop art italiana ed europea: nato in Libia nel 1934 e deceduto a Roma nel 1998, fu tra i primi a usare il computer per creare opere, elaborando immagini elettroniche per riportarle su tele emulsionate. Il capolavoro che porta il nome della metropoli all’ombra della Madonnina fu realizzato nell’anno in cui il ventottenne Schifano conobbe Andy Warhol a New York, frequentando la Factory di Manhattan e le serate del New American Cinema Group nella Grande Mela.
Per il Ministero, “Milano” costituisce “opera paradigmatica di un artista identitario del canone artistico novecentesco italiano”, nonché “il dipinto più esemplificativo dell’attenzione dell’autore allo schermo come luogo di comparsa dell’immagine moderna”. “Monocromi simili – si legge nel report – non si trovano in collezioni dello Stato e solo in pochissime eccezioni in musei appartenenti agli enti locali o di istituti pubblici”. Non è finita: l’originalità dell’opera ruota attorno alla “innovazione non passeggera che essa introduce/produce nella tradizione, divenendo stimolo per lo sviluppo futuro sotto diversi profili (culturale, artistico, linguistico e tecnico-funzionale)”; la rilevanza sta nel “non comune livello di qualità e/o importanza culturale, storica, artistica, geografica o etnoantropologica”.
Senza contare che il capolavoro è appartenuto ad “alcuni dei protagonisti centrali delle vicende del collezionismo italiano (Malabarba, Franchetti, tutti personaggi di primo piano)” e che è connesso “alla produzione realizzata quando l’artista era sotto contratto della Sonnabend (Ileana, mercante d’arte romena naturizzata statunitense, ndr), la principale gallerista e collezionista internazionale degli anni ’60”.
Per il proprietario, che si è affidato a un autorevole critico d’arte, “tra il 1960 e il 1962 Schifano ha realizzato più di 80 monocromi, la stragrande maggioranza dei quali si trova in collezioni italiane e altri sono esposti in musei pubblici”. Come dire: non è un’opera rara.
Non la pensa così il funzionario storico dell’arte del Ministero Matteo Piccioni, che ha sottolineato che “nessuna delle altre opere di Schifano con il medesimo titolo, realizzate tra il 1961 e il 1975, si trova nei musei pubblici: i monocromi cui si riferisce il ricorrente, oltre a essere un numero molto limitato, sono, infatti, dipinti diversi che non presentano fondo blu e cornisce smussata bianca”. Conclusione: il dipinto non può valicare i confini nazionali.