MASSIMILIANO MINGOIA E NICOLA PALMA
Cronaca

Il Comune di Milano in aula contro il clan Piromalli: “Hanno leso l’immagine della città”

L’amministrazione si costituirà parte civile nel processo con giudizio immediato: udienza il 16 ottobre

MOMO

Tre degli arrestati: Girolamo Piromalli, Salvatore Giacobbe e Agostino Cappellaccio

Milano – Dal danno morale alla lesione dell’immagine della città, fino agli extra costi sostenuti per sopralluoghi, verifiche tecniche e controlli. E poi la conferma, se mai se ce ne fosse bisogno, dell’impegno nella lotta contro la criminalità organizzata, “a tutela della legalità e per garantire l’ordinato sviluppo economico-sociale e la convivenza pacifica della collettività locale”. Ecco i motivi che hanno spinto il Comune a costituirsi parte civile nel processo con giudizio immediato nato dall’inchiesta della Dda che ha acceso i fari sulle infiltrazioni di uomini vicini al clan Piromalli anche nel mercato comunale di piazzale Lagosta.

Gli imputati sono 13, con accuse che vanno dall’associazione di stampo mafioso alle estorsioni, dall’intestazione fittizia di beni al traffico illecito di rifiuti: l’udienza è fissata per il 16 ottobre. L’indagine del Gico della Finanza e della polizia locale, coordinata dal pm dell’Antimafia Silvia Bonardi, si è chiusa il 15 aprile con 14 arresti: in manette, tra gli altri, il pluripregiudicato settantaduenne Salvatore Giacobbe, Girolamo “Momo” Piromalli dell’omonima ’ndrina di Gioia Tauro (nipote di secondo grado del boss “Facciazza”) e il suo braccio destro Agostino Cappellaccio.

Gli accertamenti investigativi prendono linfa dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luciano Nocera, che attribuisce a Giacobbe la dote del “Vangelo” e lo colloca a capo della locale di Agrate-Pessano. Quelle rivelazioni si intrecciano con i primi risultati dell’inchiesta delle Fiamme gialle, che immortalano i continui incontri tra Giacobbe e Piromalli in un bar in zona Centrale. Lì dove il settantaduenne ha deciso di trasferirsi dopo la scarcerazione per riprendere ciò che le sbarre avevano interrotto. L’uomo dei locali è Cappellaccio, che nel giugno del 2018 diventa di fatto il proprietario del Dom Cafè di corso Como; due mesi dopo, arriva l’interdittiva della Prefettura, legata però alla vecchia gestione sospettata di legami con i Barbaro-Papalia. “Il Ciccione”, come lo chiamano i prestanome costretti a sottostare ai suoi diktat e a rischiare cause e fallimenti per lui (che non figura mai nelle quote societarie), non si ferma: nel 2020, in piena pandemia, si muove tra via Parini, via Fiamma e via Galilei per acquistare altre location.

E arriviamo al 30 gennaio 2024, quando si presenta ai ghisa dell’Annonaria come il nuovo responsabile di alcune delle attività del Mercato Comunale Isola (quattro quelle sequestrate d’urgenza dalla Procura), che a fine 2019 il Comune ha dato in concessione a due società. Stesso schema: gli altri ci mettono il nome, lui incassa (“246mila euro in sette mesi”, i guadagni della pescheria) e spende nelle frequenti puntate alle Baleari. Le carte dicono pure altro, in particolare su Giacobbe: raccontano della forza intimidatrice, dei legami con la terra d’origine, dei contatti con il figlio del camorrista Paolo Raviola (vicinissimo a “Sandokan” Schiavone) e degli scellerati propositi di lucrare sul traffico illecito di rifiuti del factotum Giovanni Caridi.