REDAZIONE MILANO

Pound-Rigillo: pochi spettatori, che peccato

Un po’ di rammarico, sì. Venerdì sera, al termine della terza serata di “Ezra in gabbia o il caso Ezra...

Un po’ di rammarico, sì. Venerdì sera, al termine della terza serata di “Ezra in gabbia o il caso Ezra...

Un po’ di rammarico, sì. Venerdì sera, al termine della terza serata di “Ezra in gabbia o il caso Ezra...

Un po’ di rammarico, sì. Venerdì sera, al termine della terza serata di “Ezra in gabbia o il caso Ezra Pound“, l’attore protagonista, Mariano Rigillo, che in scena aveva appena interpretato il poeta americano, si è rivolto alla platea del Piccolo Teatro di via Rovello rammaricandosi che gli spettatori davanti a lui fossero pochini. "Eppure questo spettacolo merita di essere visto", ha aggiunto Rigillo, bravissimo nei panni dell’autore dei “Cantos Pisani“, l’intellettuale che tradì il suo Paese, gli Stati Uniti d’America, parlando dai microfoni della fascista Radio Roma durante la Seconda Guerra Mondiale e dicendo tutto il male possibile sugli stati capitalisti.

Perché Pound, ancor prima del conflitto, era sempre stato contro la plutocrazia, l’usurocrazia e il dominio della finanza. Una battaglia che condusse da libero pensatore, da cittadino americano che, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, provò a rientrare nella madrepatria, ma senza successo, perché ormai considerato un traditore. E così Pound, indignato per il trattamento a lui riservato, continuò a parlare a Radio Roma e a sostenere le ragioni del fascismo. Un peccato che gli costò caro. Sì, perché il 3 maggio 1945 il poeta fu prelevato da due partigiani e consegnato ai militari statunitensi.

Venne imprigionato in una gabbia, all’aperto, nel campo per fascisti irriducibili a Coltano, vicino Pisa. Proprio la scena che ha aperto lo spettacolo del Piccolo per cinque serate non proprio fortunate quanto a numero di spettatori, ma apprezzate dai presenti, che hanno visto anche il Pound-Rigillo per 12 anni nel manicomio criminale di St. Elizabeth, in America, perché considerato pazzo. Fino al ritorno nell’amata Italia, nel 1958, dopo un calvario che sembrava senza fine. Una storia da raccontare. Una storia che, forse, fa ancora paura.

Massimiliano Mingoia