NICOLA BARONI
Cronaca

Paola Ricas: "A Milano vince l’ossobuco"

Direttrice per 25 anni di Cucina Italiana giudice alla Prova del cuoco, donna di grande cultura e appassionata d’arte. Ma guai a parlarle di apericena

Paola Ricas con Antonella Clerici in una puntata della Prova del cuoco la popolare trasmissione in onda tutti i giorni su RaiUno

Milano, 1 aprile 2018 - Per 25 anni direttrice della Cucina italiana, poi giudice alla Prova del cuoco: Paola Ricas continua a circondarsi di riviste di cucina e dipinti dei più noti artisti italiani del secolo scorso, a partire da quelli che il padre, grande pittore e sodale di Filippo Tommaso Marinetti, le regalava da bambina per i compleanni. Ma le due passioni non sono in contrasto: «La cucina è creatività e specchio della società. Chi la fa deve avere valori e riferimenti culturali, letture, non dico per interpretare il pomodoro ma per saperlo valorizzare sì. Come è evidente nei grandi cuochi».

La cucina in edicola ha anticipato Masterchef?

«Non li metterei sullo stesso piano. I reality sono solo show: chi li guarda non impara a cucinare, impara solo il concorrente. Forse».

 Paola Ricas
Paola Ricas

«Da giovane mia mamma non voleva che spignattassi. Quando mi sposai mi avvicinai al mondo del fare. Tra redazione e famiglia non era semplice organizzarsi, ma è stato utile a farmi capire che serviva una cucina più semplice e veloce, perché le donne cominciavano a lavorare e avere ritmi e orari pari a quelli degli uomini».

La ricetta dell’infanzia?

«Uno dei piatti preferiti della mamma erano gli gnocchi alla romana, li faccio spesso anch’io».

I cibi preferiti?

«Mi piacciono i sapori facili, riconoscibili. Sono così felice quando riconosco se un sugo è fatto con i perini, se c’è il basilico o il cappero. Mi piacciono la carbonara, le puntarelle, i carciofi. Le verdure in generale. La gente dice “non ti si può invitare a cena”, in realtà mi si accontenta con i sapori semplici».

Che cosa non può vedere?

«Le interiora, è più forte di me: non piacevano a mio papà, non voleva sentirle nominare».

Madre romana, padre lombardo: cosa ha assimilato della cucina milanese?

«Il risotto: lo cucino quasi tutti i giorni. Amo anche la zucca, che mia mamma invece non ha mai cucinato».

La Milano di oggi che piatto sarebbe?

«Sempre e comunque l’ossobuco. Molto ricco nel midollo, sa di convivialità, famiglia e territorio».

Un aspetto positivo e uno negativo della Milano della ristorazione?

«Non sopporto l’apericena, con tutte quelle cose pronte esposte all’aria per ore. Il pregio è nella varietà di scelta: Milano è diventata come Londra, dove un tempo si andava non per la cucina inglese ma per quei suoi fantastici ristoranti indiani».

Quindi mangia anche etnico? Che ne dice del sushi?

«Viaggio moltissimo e assaggio sempre le cucine locali. Il sushi mi ha un po’ stufato: l’ho assaggiato per la prima volta trent’anni fa in Giappone e mi era sembrato squisito, ora che lo trovi anche al supermercato non ha lo stesso appeal. Preferisco la cucina giapponese delle zuppe e minestre».

Si sente la mancanza delle tre stelle Michelin a Milano?

«Per nulla. Quando leggo sui menù piatti con tre righe di descrizione mi viene il nervoso. Preferisco un menù semplice. Per non parlare di chi va al ristorante per fotografare i piatti, postarli sui social, e poter dire di aver assaggiato muschi e licheni: cose che neanche il mio gatto mangerebbe».