SIMONA BALLATORE
Cronaca

Ottavia Piccolo: "Il Piccolo, un rifugio. Che magia il giardino della Guastalla"

Galeotta fu Milano e una pièce teatrale: nonostante il primo impatto con la città sia stato un po’ traumatico, qui è scoccato il vero colpo di fulmine

Ottavia Piccolo da quattro anni ha lasciato Milano per Venezia

Milano, 14 maggio 2017 - Galeotta fu Milano e una pièce teatrale: nonostante il primo impatto con la città sia stato un po’ traumatico, qui è scoccato il vero colpo di fulmine e, per l’attrice Ottavia Piccolo, Milano da scura si è fatta chiara e ricca di sfumature. Così, anche se da quattro anni è ripartita alla volta di Venezia, dove ha deciso di trasferirsi, quando torna si sente sempre a casa.

La sua “prima“ a Milano?

«Tanti anni fa e me la ricordo così scura, tutta nera. All’inizio mi è sembrata terribile. Ma perché non è una città che svela subito la sua bellezza, non è come Roma o Venezia, che sono aperte, si sa che son belle, ma poi Milano ti regala sorprese. Dopo quel primo impatto non felice, ci sono tornata un sacco di volte per teatro. Ricordo in particolare ‘Il Re Lear’ di Giorgio Strehler al Piccolo Teatro agli inizi degli anni Settanta».

Poi da qui è passato Cupido.

«Eravamo al Piccolo, entrambi da spettatori. Lui (Claudio Rossoni, ndr) è un giornalista, oggi in pensione. Stavamo guardando Barbablù, quello che nella fiaba ammazzava le mogli, insomma (ride). Lo spettacolo invece era molto bello. Siamo stati presentati da amici. Poi ho iniziato a vederlo nei posti più strani. Ero in tournèe e lo incrociavo, ‘Ciao, passavo di qui’. E io mi chiedevo: ‘Che strano, come fa a essere in zona?’ Ero un po’ tarda in materia, confesso. Alla fine ci siamo sposati proprio a Milano, a Palazzo Marino. Allora i matrimoni si celebravano lì».

Quando avete deciso di trasferirvi in città?

«All’inizio abitavamo a Roma. Abbiamo deciso di spostarci a Milano per il Carcano. Abbiamo fatto le valigie e da allora e sino a quattro anni fa abbiamo abitato in città. È stato allora che ho imparato a conoscerla per davvero, perché Milano è segreta. Ci sono cose che nessuno si aspetta di trovare qui, è più bella di quanto sappiamo. È una città da capire, anche dal punto di vista architettonico. È stata molto bombardata durante la guerra, e sono nate architetture contemporanee accanto a quelle storiche. I grattacieli, in verità, non mi fanno più molta simpatia; non penso siano il futuro dell’architettura e ho sentito che, per fortuna, non sono la sola a pensarlo. Per anni Milano è stata anche la città delle possibilità, che accoglieva persone da tutta Italia e non solo. La sua forza era l’accoglienza. Adesso forse lo è un po’ meno».

Quali sono i luoghi che le sono rimasti nel cuore e in cui ama tornare?

«Il Piccolo. Il nome non gliel’ho dato io come mi chiede qualcuno, ce l’aveva già (ride). Anche se ci sono stata soprattutto da ospite. Lo sento come un punto di riferimento, un rifugio. La scorsa stagione ho portato ‘Enigma’ di Stefano Massini allo Studio Melato, continuo a frequentare i teatri milanesi. Ma il posto in cui adoro leggere e passeggiare è il Giardino della Guastalla. È magico. Lo hanno rimesso a posto proprio bene e, anche se è in centro, continua a restare un posto segreto».

A Milano ha portato anche «7 minuti» e sostenuto battaglie contro la chiusura di cinema e teatri.

«Mi è piaciuto tantissimo interpretare Bianca e penso che sia uno spettacolo e un film in grado di affrontare temi che non si toccano mai abbastanza, come quello del lavoro appunto e dei diritti. Quanto a difendere le sale e i teatri ci sarò sempre. Bisogna sapere “sconnettere” un po’ di più il cellulare. Sconnettiamoci, sì, e riconnettiamoci con le persone. Chi se ne frega dei cinquemila amici virtuali. Torniamo al cinema, a teatro, dove volete. Ma incontriamoci».