
La piccola Matilda Borin (Ansa)
Milano, 22 dicembre 2018 - Assolto. Antonino Cangialosi, un passato di bodyguard, oggi un impiego nella logistica, non ha troncato con quel colpo tremendo sferrato alla schiena il viaggio nella vita durato soltanto 23 mesi di Matilda Borin, bella e vivace al punto da essere chiamata ‘tsunami’. Il colpo (forse un calcio) provocò lo spappolamento della milza, il distacco del rene destro e fratture costali. Dopo tredici anni e mezzo la giustizia allarga le braccia. Un caso paradossale viene consegnato alla storia giudiziaria italiana. Non è colpevole nessuna delle due persone, le uniche, che erano accanto a Matilda nell’afoso pomeriggio del 2 luglio del 2005 nella casa colonica di Cangialosi a Roasio, immersa nelle campagne del Vercellese: Elena Romani, la madre, e Antonino Cangialosi, all’epoca suo fidanzato.
Processata per omicidio preterintenzionale (la stessa imputazione dell’uomo), la Romani è stata assolta in via definitiva dopo tre gradi di giudizio. Innocente Cangialosi, già prosciolto due volte, per il quale la prima Corte d’Assise d’appello di Torino ha ribadito ieri l’assoluzione per non avere commeso il fatto pronunciata nel dicembre del 2006 dal gup di Vercelli, Fabrizio Filice. L’assoluzione era stata chiesta anche dal rappresentante dell’accusa, il sostituto procuratore generale Marcello Tatangelo. È la verità processuale. Quella storica, commenta il difensore di Cangialosi, è affidata a Dio. «Erano in due – fa da sconsolato controcanto uno degli avvocati della Romani – in quella casa. Due assolti. Allora la piccola Matilda si è suicidata». Elena Romani non è presente quando, dopo due ore di camera di consiglio, il presidente Fabrizio Pasi legge il dispositivo della sentenza. «Volevo solo – dice più tardi – verità e giustizia per la mia bambina». Antonino Cangialosi stringe in un abbraccio il difensore Andrea Delmastro delle Vedove. Ha un breve sfogo accorato: «Dopo tredici anni riprendo in mano la mia vita. Sono stato assolto per quattro volte. Ero stanco, volevo che dal processo uscisse la mia com- pleta innocenza».
«È stata fondamentale – dice Delmastro – la prova scientifica. Quella che nessuno può influenzare, manipolare, inficiare. Cangialosi è rimasto solo con Matilda per tre minuti, mentre la Romani era uscita in cortile per lavare un cuscino sporcato dal vomito della bambina. Tutti i periti, anche se con valutazioni diverse, hanno concordato sul fatto che il range fra il trauma subito da Matilda e la perdita di coscienza era compreso fra 10 e 40 minuti, in ogni caso molti più dei 3 minuti che hanno visto Cangialosi conMatilda. Una condanna sarebbe stata un insulto alla scienza. Dopo un quarto grado c’è ancora un quinto grado di giustizia: si chiama Dio. Papa Ratzinger ha detto che ci si può rivolgere a Dio quando la scienza non dà risposte.Ma quando le dà, come in questo caso, è giusto accettarle in silenzio. La scienza ha assolto Cangialosi». Tiberio Massironi e Roberto Scheda, legali della Romani, sono amareggiati ma non sorpresi e preannunciano il ricorso in Cassazione. «Questa giustizia non può pagare».