
Paolo Renis
Milano, 20 febbraio 2016 - Ricordate Paolo Renis? Dieci giorni fa avevamo raccolto la sua denuncia, quella di un imprenditore che vorrebbe assumere giovani ma non ci riesce (Leggi l'articolo). Dice di non trovarne di affidabili. Presto aprirà la sua «Villa Renoir» a Legnano, un ristorante con direzione artistica per feste ed eventi. È andato a caccia di giovani anche dove i giovani mettono volentieri la faccia: su Facebook. Ma è finita che ha sbottato: «A 25 giorni dalla pubblicazione dell’annuncio – raccontava il 10 febbraio – mi ha risposto un solo ragazzo su 5mila iscritti alla pagina». Eppure Renis cerca cuochi, aiuto-cuochi, direttori di sala, camerieri e autisti. «Il lavoro c’è, sono i ragazzi che mancano di spirito di sacrificio». E giù con un inventario da emergenza-buon senso: «C’è chi non ha esperienza del mestiere e chiede subito dello stipendio, chi rifiuta di lavorare alla sera e nel finesettimana, chi è sempre malato». Possibile? Neanche 24 ore più tardi Renis parve smentito. Alla casella mail del Giorno e sulle onde radio di R101 spuntano giovani su giovani in cerca di lavoro, come indiani dalla pianura. Renis si ritrova 280 curriculum. Lui li conta, li legge, li mette uno sopra l’altro e scuote il capo: «Li convoco tutti per un colloquio, vuol vedere quanti si presentano? E quanti hanno le comptenteze minime per lavorare?». Affare fatto.
Ieri c’eravamo anche noi a Villa Renoir ad assistere ai colloqui. E ci abbiamo trovato l’Italia che dice sì, ma poi non la trovi lì: su 280 convocati si sono presentati in 60. Tre su 4 non si son visti. L’Italia che senza mamma e papà non ce la fa: quella di Vincenzo, 50 anni, che ha un bar di proprietà ma l’ha dato in affitto ad altri e preferisce «fare il barista sotto padrone» perché «senza i genitori non me la sento di affrontare la responsabilità di un’impresa: non tutti possono fare l’imprenditore». L’Italia fregata quando è presto per abbandonare la partita e tardi per tornare in campo: Francesco, ad esempio, lasciato a casa a 48 anni da una catena di supermercati che ha chiuso. A Renis che gli chiede perché dovrebbe puntare su di lui, non ha da offrire che la certezza che lui a casa cucina, cucina spesso e bene. E poi al market vini e champagne ha imparato a conoscerli. O quella di Sergio, 57 anni, che fa il magazziniere per una farmacia ma part time.
E a Renis offre la metà che resta del part-time. C’è l’Italia dei nuovi italiani, quella di Carlos, 21 anni, brasiliano in realtà: «Lavoro gratis». C’è l’Italia che in Renis si riconosce: «Sono Simone, ho venduto il ristorante dopo 35 anni e so bene quanto sia difficile trovare personale degno: faticavo anche io». C’è l’Italia dei giovani che è difficile spiegare: quella di Luca, trentenne senza patente. Ma vuol lavorare in Villa, dove si fanno le ore piccole pur abitando a Novara. «Posso crearmi una prospettiva coi treni, se ce ne sono di notte». E poi c’è pure l’Italia fedele ai suoi vent’anni: 23 ne ha Luciano, che studia Sociologia ma le mani se le sporca, 21 ne ha Ena che studia Lingue ma a fine mese vuol arrivarci da sé anche dovesse dribblare tavoli fino a notte fonda. A Renis ne piaceranno 5, «ma solo 2 o 3 hanno competenze vere e solo uno vuole fare il lavapiatti benché lì competenze non servano». Tutti giovani, quei 5. Poca o tanta, l’Italia sta anche qui.
giambattista.anastasio@ilgiorno.net