
Matrimonio "saltato" con lo sposo in fin di vita per una serie di errori o problemi burocratici
Milano – Per i giudici, il funzionario dello stato civile di Palazzo Marino ebbe un comportamento negligente e inerte. Tuttavia, il non dimostrato nesso di causalità tra quella condotta e l’evento che originò il danno ha portato la seconda sezione del Tribunale civile a ribaltare la sentenza di primo grado e a negare alla ricorrente il risarcimento inizialmente accordato di 15mila euro. La sentenza emessa nei giorni scorsi riguarda il caso del matrimonio d’urgenza non celebrato in epoca Covid al Fatebenefratelli, nonostante la richiesta di una donna che voleva convolare a nozze in extremis con il compagno di una vita ormai in fin di vita in ospedale.
La ricostruzione della dolorosa vicenda ci riporta al 27 febbraio 2021, quando l’avvocato Francesco Porpora scrive una pec al Comune per conto di un settantaduenne ricoverato per coronavirus e della partner sessantasettenne: con quella mail certificata, il legale chiede che venga attivata la procedura per il matrimonio d’urgenza. Il 3 marzo, però, l’uomo morì per le conseguenze letali del coronavirus senza aver sposato la sua amata. Che a quel punto fa causa all’amministrazione, sostenendo che il motivo delle mancate nozze vada imputato al comportamento negligente dei funzionari del Comune.
Chiamati in causa, i diretti interessati rispondono di aver risposto a quella mail due giorni dopo, cioè il primo marzo, ma di non aver avuto ulteriori riscontri. Il 12 settembre 2024, il Tribunale condanna Palazzo Marino a pagare 15mila euro (a fronte di una richiesta di poco inferiore ai 230mila euro) come risarcimento del danno da sofferenza soggettiva interiore, riservandosi di stabilire in un secondo momento il quantum per il danno patrimoniale.
Non è finita. L’amministrazione presenta appello, assicurando di aver operato correttamente: in particolare, i funzionari sottolineano di aver risposto alla pec da un indirizzo di posta elettronica ordinaria, visto che a loro parere il dominio comparso nell’intestazione non era riconducibile agli abituali indirizzi pec. Detto altrimenti: se la risposta non è stata recapitata, non è stata colpa nostra; e in ogni caso non sono arrivati messaggi che informassero di un errore o di una mancata notifica.
Per i giudici, questa giustificazione non basta: «Il funzionario dello stato civile – si legge nelle motivazioni – avrebbe dovuto e potuto accertarsi dell’effettiva ricezione della propria mail, facendo una semplice telefonata» al numero di Porpora o a quelo di una dottoressa del reparto Covid del Fatebenefratelli, entrambi inseriti nel corpo della lettera. Tuttavia, c’è un altro elemento che ha fatto pendere la bilancia dalla parte del Comune: «Non può ritenersi provata la capacità di intendere e di volere» dell’uomo «all’epoca dei fatti», conditio sine qua non per poter celebrare il matrimonio.
Anzi, un certificato medico del 27 febbraio, che parla di «condizioni cliniche gravissime» e di «imminente pericolo di vita» ha spinto i giudici a mettere nero su bianco: «Non è possibile ritenere, neppure in via presuntiva, la sussistenza di una capacità di intendere e di volere al momento in cui si sarebbero in ipotesi potute celebrare le nozze». Caduto questo elemento, la conclusione, «non può dirsi sussistente un nesso di causalità tra la condotta dell’ufficiale di stato civile e la mancata celebrazione del matrimonio d’urgenza».