ANDREA GIANNI
Cronaca

Neomamme, l’addio al lavoro : "Ogni anno 10mila dimissioni"

Lasciano entro i tre anni di vita del figlio: "La motivazione? Conciliazione impossibile e ostacoli". Per chi resta impieghi part time e stipendi più bassi. L’intesa sindacati-Regione: misure anti-discriminazione.

Tra i firmatari le consigliere di parità Anna Maria Gandolfi e Valeria Gerla I segretari Valentina Cappelletti (Cgil), Fabio Nava (Cisl) ed Enrico Vizza (Uil)

Tra i firmatari le consigliere di parità Anna Maria Gandolfi e Valeria Gerla I segretari Valentina Cappelletti (Cgil), Fabio Nava (Cisl) ed Enrico Vizza (Uil)

Un esercito di madri di tutte le età, per l’esattezza 42.237, che l’hanno scorso hanno lasciato il lavoro in Lombardia. Scelta che, per l’83%, è motivata dalla necessità di curare i figli. Ogni anno, in media, 10mila lombarde rassegnano le dimissioni entro i tre anni di vita del bambino. Il tasso di occupazione nella regione ha raggiunto il 62,3%, ma è ancora 14 punti sotto quello maschile. Quasi una donna su tre lavora part time, nella metà dei casi involontario, mentre solo il 5% degli uomini ricorre al tempo parziale. Le donne guadagnano, in media, il 10,4% in meno rispetto ai colleghi uomini. Poi c’è il problema delle molestie e delle violenze sul luogo di lavoro, con denunce che aumentano anno dopo anno. Una situazione fotografata dai dati raccolti da Cgil, Cisl e Uil, che ieri hanno firmato in Regione il rinnovo del protocollo d’intesa contro le discriminazioni di genere. L’intesa siglata con le consigliere di parità regionali, Anna Maria Gandolfi e Valeria Gerla, impegna le parti a "contrastare ogni forma di discriminazione che limita o impedisce la piena occupazione delle donne", ad "intervenire per rimuovere ogni forma di discriminazione nei confronti delle lavoratrici che rientrano dopo il periodo di congedo di maternità". Focus anche sulla promozione di azioni "per la ricollocazione in particolare delle donne dopo i 45 anni e il reinserimento al lavoro delle donne che rientrano al lavoro dopo lunghi periodi di cura". Tra i vari punti c’è anche la "prevenzione e il contrasto di qualsiasi atteggiamento o comportamento lesivo della dignità della persona e di ogni forma di violenza, vessazione e molestia", e una battaglia contro "ogni forma di linguaggio che alimenta stereotipi di genere".

Linee d’intervento che, è l’obiettivo, non dovranno rimanere solo buoni propositi sulla carta, ma tradursi in azioni concrete nei luoghi di lavoro. "Non possiamo accettare che una madre, per lavorare, debba scegliere tra dignità e precarietà – spiegano Valentina Cappelletti, Fabio Nava ed Enrico Vizza, segretari generali di Cgil, Cisl e Uil in Lombardia – o che permangano discriminazioni di genere in tema di retribuzione, possibilità di carriera, conciliazione vita-lavoro. Non è un punto di arrivo, ma un inizio condiviso". La consigliera Gandolfi ha sottolineato che "il nostro obiettivo non è portare le aziende in giudizio, ma rendere consapevoli i datori di lavoro che un clima di serenità ed equità può portare ad un incremento del profitto aziendale".