Non ha superato la notte. Non ce l’ha fatta ed è morto alle prime luci dell’alba il detenuto di San Vittore che si è impiccato due giorni fa. Aveva 46enne era di origine nordafricana e aveva tentato di togliersi la vita giovedì sera in cella, mentre nella rotonda centrale del carcere veniva trasmessa la "Prima" del Don Carlo alla Scala. Ad annunciare il tentato sucidio, finito poi in tragedia, era stato il direttore del carcere Giacinto Siciliano, proprio giovedì insignito dell’Ambrogino d’Oro, che aveva spiegato di non sentirsela di andare avanti con la serata.
"Il carcere è anche questo - aveva detto agli ospiti e alla sessantina di reclusi presenti -. Un luogo di sofferenza dove ci sono persone che stanno male". L’uomo era stato ricoverato in condizioni gravisssime, subito dopo aver tentato di impiccarsi. Era entrato in carcere martedì pomeriggio per un furto.
Il 7 sera il direttore Siciliano aveva approfittato del suo momento di saluto per sottolineare - dopo il lungo periodo molto difficile del Covid - la situazione insostenibile delle carceri, "con una popolazione in continuo aumento e proveniente da contesti sociali di emarginazione e solitudine". Ieri il consiglio dell’ordine degli avvocati di Milano, come organo di rappresentanza istituzionale ha ribadito con forza che le attuali condizioni di sovraffollamento delle carceri non sono compatibili con un sistema di piena garanzia dei diritti dei detenuti e degli operatori penitenziari. "Il suicidio ha riportato tutti a una realtà cruda, che non appare soltanto il 7 dicembre, ma si perpetua quotidianamente, soprattutto lontano dal clamore delle occasioni pubbliche", prosegue la nota dell’Ordine degli avvocati. "Esistono i numeri ed esistono le persone: nel complesso mondo delle carceri, i numeri sono destinati troppo spesso a sopraffare le persone, rappresentando una situazione - quella del sovraffollamento - divenuta ogni giorno più intollerabile", spiega ancora il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Antonino La Lumia. Per gli avvocati milanesi, "i modelli detentivi richiedono un’organica e urgente rivisitazione dal punto di vista della finalità costituzionale della pena, mediante l’adozione di strumenti volti ad assicurare efficacemente i diritti fondamentali delle persone ristrette e la tutela di chi lavora negli Istituti". "Dolore e solidarietà" sono stati espressi anche dal ministro Nordio.
Anna Giorgi