"Auricolari per evitare i contatti". L’esperta: così i ragazzi si isolano

Per la docente di comunicazione «personalizzano lo spazio pubblico» di LUCA SALVI - Travolta e uccisa dal treno: choc per la morte di Lisa, la ragazza che amava la moda

Lisa Digrisolo, investita dal treno (foto da Facebook)

Lisa Digrisolo, investita dal treno (foto da Facebook)

Milano, 22 aprile 2016 - Milano in Italia, tra i 15 e i 16 anni, sette ragazzi su 10 hanno uno smartphone. Uno su tre tra gli 11 e i 12 anni. A maggior ragione, non è strano vedere per strada tanti teenager o ventenni tutti intenti a guardare il loro telefonino o con la musica negli auricolari. Separati dal mondo. A volte anche in bicicletta. E leggere poi nelle cronache della studentessa travolta dal treno (nella foto Lisa Di Grisolo) o della ballerina scaligera che due settimane fa è stata ferita da un tram, sempre a Milano, distratta da una conversazione al telefonino. Con tanto di cuffie. Ma questo fenomeno non è una new entry dell’epoca 2.0 o 3.0, comunque si voglia chiamarla. Ce lo spiega Giovanna Mascheroni (nella foto in alto), docente di Strumenti di analisi della comunicazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e coordinatrice della ricerca «Net Children Go Mobile», finanziata con fondi europei.

Professoressa, perché «niente di nuovo» nella distrazione di massa nei giovani dovuta agli smartphone? «Si tratta di una questione già posta, ricorrente. Cominciata tra gli anni Ottanta e Novanta con i walkman e gli stereo. Anche allora uscirono studi sui giovani che si mettevano le cuffie nelle orecchie in giro o sui mezzi pubblici. E sulle conseguenze. Nel 1997 uscì un libro, ‘Doing Cultural Studies: The Story of the Sony Walkman’ dell’Università di Birmingham che è una pietra miliare sull’argomento. Non a caso è stato ripubblicato tre anni fa con un aggiornamento sui nuovi strumenti tecnologici».

Si può parlare di auto-isolamento dei giovani? «Non proprio. Non è un atteggiamento diverso da chi legge un libro o un giornale sul tram. E lo facciamo tutti, non solo i giovani. Infatti quando nascono questi fenomeni che possono infastidire, subito si cerca di regolamentarli. Nei ristoranti si abbassa la suoneria. Nei cinema si spegne il cellulare. Anche se negli Usa stanno nascendo sale cinematografiche per i giovani che permettono l’uso dello smartphone».

Perché ci si distrae dalla realtà quando si cammina? «È una sorta di personalizzazione dello spazio pubblico. Non è naturale fermarsi in mezzo a degli estranei. Guardando il cellulare, accendendo l’iPad, giocando a Candy Crush, si evita di esporsi al contatto forzato. E poi, rispetto al walkman, sugli smartphone c’è Internet. E il web significa comunicazione, contatti, in un mondo dove diminuiscono i luoghi di ritrovo per i ragazzi».

Come arginare questa ossessione per lo schermo mobile? «Non arriverei a soluzioni drastiche come il marciapiede preferenziale per chi usa smartphone in Cina o ai centri commerciali americani che lanciano gli ultrasuoni alle cui frequenze sono sensibili solo i giovani, per tenerli lontani dal mall. Né introdurrei leggi e sanzioni, salvo che per chi va in bici e usa il cellulare, fenomeno che, dopo il Nord Europa, sta prendendo piede anche da noi. Piuttosto interverrei nelle scuole, con incontri e momenti di discussione. Come si fa con l’educazione stradale».

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