REDAZIONE MILANO

Minacce a manager Uber: 14 tassisti nei guai

Insulti sessisti e minacce di morte alla ex dirigente della compagnia, costretta a girare con la scorta

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Striscioni con insulti, manifesti con minacce di morte e la creazione di un gruppo Facebook con inviti "a pedinarla, spaventarla e controllarla". La chiamavano pubblicamente "La Scrofa". Per queste e per tutta un’altra serie di condotte minacciose nei confronti di Benedetta Arese Lucini, manager di Uber, 14 tassisti rischiano ora di finire a processo con le accuse di stalking e diffamazione. I fatti risalgono al 2014-2015 quando era in corso una "protesta" a Milano da parte dei tassisti per l’ingresso "sul mercato nazionale della piattaforma web" americana Uber.

Per i tassisti queste auto a noleggio che potevano essere chiamate con una app rappresentavano una concorrenza "sleale", ma il loro manifestare aggressivo e con toni mafiosi andò oltre ogni limite tollerabile, sfociando in un reato. Nel procedimento, scaturito dall’inchiesta dei pm Antonia Pavan e Luca Gaglio, si è aperta ieri davanti al giudice per l’udienza Tommaso Perna l’udienza preliminare, dopo la richiesta di processo per i 14 imputati a vario titolo per atti persecutori, tra cui minacce e molestie ai danni della manager, e diffamazione sempre nei confronti della donna. Gran parte dei messaggi contro la dirigente sono stati pubblicati sul gruppo "Uberverità", con quasi "1000 aderenti", si legge nell’imputazione. La manager, spiega la Procura, temendo per la "propria incolumità" aveva dovuto cambiare casa e ricorrere "a precauzioni negli spostamenti", tanto che le era stato assegnato un "servizio di tutela personale disposto dalla Prefettura". Tra le minacce messaggi gravissimi. Nel procedimento, spiega l’avvocato Monica Bonessa, legale di parte civile, "si discute, si censura e ci si oppone a un sistema di giustizia sommaria e privata messa in atto da alcuni soggetti allo scopo di rovinare la vita di una giovane donna che stava solo svolgendo il suo lavoro". Tra i casi più eclatanti, quello del cartellone in cui la manager veniva definita "una putt... che riceve in (il suo indirizzo di residenza) e per Maran lo fa gratis" con riferimento all’assessore del Comune che all’epoca aveva deleghe su trasporti e mobilità.

Oppure quello del fantoccio, "impiccato" con una corda al collo a dei cavi elettrici, con la foto dell’assessore Maran all’altezza del collo e quella della manager Uber all’altezza del pube. Ma nella primavera 2015, sempre stando al capo di imputazione, sui muri di Milano comparvero molti altri manifesti con l’immagine della manager Uber accompagnata da varie ingiurie come "I love rubare" e "Spaccio illegalità e evado tasse" o perfino minacce di morte "un buco in testa, avrai vita breve e la barella è in forcella".

Anna Giorgi