Caso Maugeri, a Formigoni il massimo della pena / VIDEO

Sette anni e 6 mesi di carcere per le tangenti. I giudici hanno aumentato la condanna al Celeste e vietato nuovi incarichi

Roberto Formigoni

Roberto Formigoni

Milano, 20 settembre 2018 - Il massimo della pena prevista per il reato di corruzione, senza concessione di attenuati. Il «Celeste», Roberto Formigoni, nel processo d’appello sul giro di tangenti intorno alla Fondazione Salvatore Maugeri, è stato condannato a una pena ancor più severa rispetto a quella inflittagli in primo grado.

I giudici della corte d’Appello di Milano hanno accolto le richieste dell’accusa - rappresentata dal procuratore aggiunto Laura Pedio, che si è fatta applicare anche nel secondo grado e giudizio, e dal sostituto procuratore generale Vincenzo Calia - e hanno condannato l’ex governatore lombardo a 7 anni e 6 mesi di carcere, un anno e mezzo in più rispetto al primo grado. I giudici lo hanno anche condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Pena aumentata anche per Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Fondazione Maugeri: condannato a 7 anni e 7 mesi di carcere contro i 7 anni del processo di primo grado. Condanna confermata, invece, per Carlo Farina, legale rappresentante di una società servita, secondo l’accusa, per sottoscrivere contratti di consulenza fittizi con la Maugeri e giustificare così il dirottamento di fondi verso i conti esteri riconducibili all’imprenditore Pierangelo Daccò e all’ex assessore regionale alla sanità Antonio Simone. Questi ultimi due imputati, ritenuti i mediatori delle mazzette, dopo le condanne 9 anni e 2 mesi e 8 anni e 8 mesi che gli erano state rispettivamente inflitte in primo grado, sono usciti dal processo patteggiando la pena: 11 anni e 7 mesi per Daccò e 4 anni e 8 mesi per Simone.

Secondo l’accusa, l’ex governatore lombardo sarebbe stato corrotto con 6,6 milioni di euro di «benefit», cioè con soggiorni lusso ai Caraibi e in altre località esotiche, una villa in Sardegna e tre yacht messi a sua completa disposizione, cene in ristoranti stellati, finanziamenti per le sue campagne elettorali. In cambio la giunta regionale lombarda da lui presieduta avrebbe favorito tra il 2001 e il 2011 la Fondazione Maugeri di Pavia e l’ospedale San Raffaele di Milano con 200 milioni di rimborsi pubblici per le cosiddette «funzioni non tariffabili». Sarebbero stati Daccò e Simone a distrarre, nel giro del decennio, 70 milioni di euro dalle casse della Maugeri e 9 milioni da quelle del San Raffaele per poi trasferire quelle somme in una serie di società estere. Un fiume di soldi, in parte serviti a corrompere l’ex governatore con viaggi, cene e altre «regalie». I giudici della Corte d’Appello hanno confermato anche la confisca già stabilita per Formigoni in primo grado: 6,6 milioni di euro, la somma equivale al prezzo della corruzione. «Non ho parole», ha commentato a caldo, annunciando lo scontato ricorso in Cassazione, l’avvocato Mario Brusa, legale del «Celeste» che ha sempre professato la sua innocenza. Se una pena alta dovesse arrivare anche in terzo grado, l’ex Governatore, avendo compiuto 70 anni, potrà per legge chiedere i domiciliari.

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