Addio a Marco Formentini: Milano rende omaggio al sindaco della svolta

Camera ardente a Palazzo Marino, disposto il lutto cittadino. Sala: un gentiluomo con grande umanità e passione, la città lo ricorderà

Camera ardente per Formentini, l'omaggio del sindaco Sala

Camera ardente per Formentini, l'omaggio del sindaco Sala

Milano, 4 gennaio 2021 - E' stata allestita a Palazzo Marino la camera ardente per Marco Formentini, ex primo cittadino della città tra il 1993 e il 1997 che è scomparso il 2 gennaio 2021 a 90 anni. Il primo a rendere omaggio è stato il sindaco di Milano Giuseppe Sala. "Una persona con una umanità straordinaria e un percorso politico alla ricerca sempre di idee e cambiamenti. Umanità e passione sono i motivi per cui Milano lo ricorderà", ha detto Sala che ha salutato i figli dell'ex primo cittadino presenti nel palazzo sede del Municipio meneghino.  A chi gli chiede la possibilità di intitolargli una via, Sala ha risposto: "Senz'altro troveremo la formula per ricordarlo, c'è la regola dei 10 anni che è rigida e che lui da ex sindaco vorrebbe rispettare. Ma è senza dubbio meritevole", ha chiosato. Dietro il feretro sono stati posizionati i gonfaloni di Regione Lombardia, Città Metropolitana e comune di Milano. La camera ardente in Sala Alessi è rimasta aperta per tutta la mattina, alle 14.30 una funerale laico per ricordare l'ex sindaco leghista. In città oggi è lutto cittadino. Stefano Formentini (figlio di Marco) ha ricordato il padre insieme ai fratelli Chiara e Savino. "Mio padre - racconta - è stato un pioniere della comunità europea: ha sempre avuto un'idea forte di Europa che ha trasmesso a tutti noi. E' stato fino agli ultimi giorni un maestro di vita". "In questi giorni - ha aggiunto - abbiamo ricevuto attestazioni di stima da tutti, questa cosa ci ha inorgoglito, non ho letto una parola fuori posto, non c'è destra o sinistra in questo caso e di questo siamo orgogliosi", "da figlio posso dire che è bello". Presente anche Maurizio Lupi, deputato e presidente di Noi con l'Italia: "Per me è doveroso rendergli omaggio, con lui ho avuto il primo mandato da consigliere comunale. Sono passati ormai 27 anni. Il valore della giunta Formentini fu quello di essere di transizione e passaggio, tra la Prima Repubblica e Tangentopoli e la giunta Albertini e i suoi 9 anni dove io fui assessore. Eravamo giovani consiglieri comunali con Matteo Salvini, sono stati anni importanti e lui guidò con una grande moderazione". 

"Se Milano è quella che è oggi è anche grazie al coraggio e all'onestà di Marco Formentini" ha detto il leader della Lega e senatore Matteo Salvini durante la cerimonia a Palazzo Marino. Formentini è stato il primo e unico sindaco della Lega a Milano. "Se ci sono sindaci che hanno accompagnato e amato questa città è anche grazie a lui - ha aggiunto -. Mi ricordo il suo sorriso, anche nei momenti più bui e anche l'estrema generosità". Salvini ha poi ricordato come giovanissimo entrò per la prima volta in Consiglio comunale a Milano proprio sotto la giunta di Formentini. "Ventisette anni fa entrai in questo palazzo, penso che sia il simbolo di Milano che accoglie, che unisce, che supera le divisioni - ha aggiunto -. Furono i miei primi quattro anni di esperienza in politica, non sono mai mancati da parte sua consigli e anche tirate di orecchie. Penso che Milano gli debba tanto". Da quegli anni "difficili" ma di "ricostruzione" secondo Salvini «sono cambiate tante cose ma è la forza di Milano che va avanti con i sindaci e oltre i sindaci: ognuno lascia un mattoncino, poche città possono dire di fare altrettanto unendosi. Imparai tanto in quegli anni". 

L'ultima intervista di Formentini al Giorno risale allo scorso 3 settembre, quando aveva ricordato commosso il suo assessore alla Cultura Philippe Daverio, appena scomparso. Voce un po’ stanca, ma pensiero lucidissimo, Marco Formentini aveva raccontato le imprese dell’amico critico d’arte e i loro anni insieme a Palazzo Marino. Quattro mesi dopo, Formentini, sindaco di Milano dal 1993 al 1997, non c’è più, se l’è portato via una malattia di cui soffriva da tempo. Nato a La Spezia il 14 aprile 1930, vedetta partigiana quando aveva appena 14 anni, maturità classica, laurea in Giurisprudenza a Pisa con 110 e lode, Formentini ha vissuto varie vite, dal punto di vista professionale: dirigente della Comunità europea del carbone e dell’acciao (Ceca), segretario della Giunta regionale lombarda di Piero Bassetti negli anni Settanta, iscritto al Psi, manager di imprese private e poi, dopo un fatale incontro con Umberto Bossi nel 1990, capogruppo della Lega alla Camera nel 1992 ed eurodeputato nel 1994. Ma l’esperienza che più gli è rimasta addosso è quella di sindaco. Nel 1993 Milano non era più la Capitale morale del Paese, era ormai additata come Tangentopoli. La vittoria di Formentini fu come un voltar pagina. I milanesi scelsero in massa il Carroccio, che raggiunse il 40,9%. Il candidato sindaco lumbard vinse al ballottaggio contro il progressista Nando Dalla Chiesa con un vantaggio netto: 57,1% a 42,9%. Celebre una frase attribuita a Formentini appena entrato a Palazzo Marino: "Mi sento come Pancho Villa".

Un rivoluzionario gentile, Formentini, a cui la moglie Augusta, subito ribattezzata “first sciura’’ dalla stampa, aveva suggerito di "mettere tanti gerani alle finestre, perché Milano ha il dovere di essere bella". I quattro anni del primo (e finora unico) sindaco leghista del capoluogo lombardo, però, non sono stati tutti rose e fiori. Dopo le elezioni politiche del 1994 e la rottura con Berlusconi, Bossi tirò per la giacchetta il “suo’’ sindaco, voleva che Formentini prendesse posizione a favore della secessione, ma lui non lo fece mai, anzi criticò la linea indipendentista e nel 1999 lasciò la Lega per questo motivo. In Consiglio comunale, intanto, il sindaco perse la maggioranza a causa dell’addio di alcuni consiglieri lumbard e si trovò a navigare a vista. Nonostante ciò, riuscì a pedonalizzare il centro storico, decise di far sgomberare il Leoncavallo e puntò sul critico d’arte Daverio per dare lustro alla cultura. Nel 1997 Formentini si ricandidò, ma il momento magico della Lega a Milano era finito. Non arrivò neanche al ballottaggio. Era il turno di Albertini.

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