Philippe Daverio, il dolore dell'ex sindaco: "Grande cultura, fece il bene di Milano"

Formentini: era un amico. Da assessore fu bravo, volle pedonalizzare la città. Pensavamo di scrivere insieme un libro su Tacito

Marco Formentini e Philippe Daverio

Marco Formentini e Philippe Daverio

Milano, 3 settenbre 2020 - «La morte di Philippe Daverio? Sì, l’ho saputo qualche minuto fa. Philippe non è stato solo un assessore della mia Giunta milanese, è stato soprattutto un mio amico. Avevamo un rapporto fraterno. Sono addoloratissimo». Marco Formentini, leghista della prima ora, sindaco di Milano dal 1993 al 1997, trattiene a stento la commozione per la scomparsa di Daverio, morto nella notte tra martedì e mercoledì all’Istituto dei Tumori di Milano. Critico d’arte, gallerista, saggista, presentatore televisivo, Daverio nel 1993 fu scelto da Formentini come assessore alla Cultura del suo esecutivo di Palazzo Marino. «Ricordo tante cose meravigliose vissute con lui – racconta l’ex primo cittadino –. Ormai ho 90 anni, per me i ricordi sono importantissimi. Philippe era un bel ricordo, speravo si fosse ripreso, ma evidentemente non era così».

L’aveva sentito di recente? «Prima dell’estate, parlavamo di tutto».

Lei, con la scelta di nominarlo assessore a Milano, rese Daverio un personaggio nazionale. «Me lo segnalò l’editore Mario Spagnol, con cui ci conoscevamo da ragazzi, eravamo stati compagni di classe. Lui stimava molto Philippe».

In Giunta come si comportò? «Ha lavorato benissimo. Dopo le prime reazioni ostili da parte di alcuni parrucconi della cultura milanese – lo chiamavano in maniera spregiativa “l’assessore papillon’’ – le sue iniziative sono state apprezzate dalla città. La sua azione fu un successo. Con il tempo la città si rese conto del valore della persona».

Daverio non era un leghista duro e puro... «La vecchia Lega non era come il M5S in cui “uno vale uno’’. Noi non eravamo prigionieri delle gerarchie allora esistenti. Se pensavamo che una persona fosse valida, la sceglievamo. Nel caso di Daverio, non mi pentii mai della scelta».

C’è un’iniziativa dell’assessore per Milano che merita di esser ricordata? «La chiusura del traffico nel centro storico e la realizzazione delle zone pedonali. Quel piano era di Philippe. In molti lo elogiarono. E non solo per quella scelta. Anche uomini di cultura che non erano certo della Lega».

Un esempio? «Giorgio Strehler fu molto contento che Daverio fosse stato nominato assessore. Approvò pubblicamente la scelta. Mi ricordo un incontro in cui c’eravamo io, Daverio e Strehler. A un certo punto loro due, con mia grande sorpresa, si misero a parlare in tedesco».

Daverio era un uomo di grande cultura, conosceva il francese e il tedesco... «Era un perfetto alsaziano franco-tedesco da parte di madre. Nacque proprio in Alsazia. Ma il padre era italiano e Philippe volle venire a studiare in Italia. Si iscrisse all’Università Bocconi. Eppure non era certo un economista, tutt’altro».

Com’era il rapporto di Daverio con la Lega, anche dopo la fine della Giunta milanese? «A un certo punto il gruppo di Maroni lo voleva candidare sindaco a Varese. Le sue origini paterne erano proprio del Varesotto. Sembrava una cosa fatta, ma alla fine non se ne fece nulla. Forse ci fu qualche resistenza all’interno della Lega e Maroni dovette desistere».

Quali erano i rapporti tra Daverio e Umberto Bossi? «Erano buoni. Bossi lo considerava “un mezzo matto’’, ma quando Umberto definitiva qualcuno così voleva dire che lo stimava».

Daverio è stato anche un divulgatore di arte tra i più apprezzati, con libri e programmi tv. Lei leggeva i suoi testi? «Certo. Ma non solo. Avevamo avuto l’idea di fare un libro insieme, un testo su Tacito. Mentre ne parlavamo, Philippe aveva coniato uno slogan per me: “Da leghista a latinista’’. Alla fine non fu pubblicato, ma ne conservo alcuni brani».

È sempre positivo quando la politica ha rapporti stretti con la cultura. Ciò che sembra mancare alla politica attuale.  «È proprio così. Ad esempio, la crisi dei grillini si spiega partendo da questo ragionamento. Non hanno nessuna base culturale. Tutti i grandi movimenti l’hanno: i democristiani avevano addirittura Gesù Cristo, i marxisti Carlo Marx, i liberali Adam Smith. I grillini non hanno nessun pensatore alle spalle e nei momenti di difficoltà non possono attingere a qualcosa di culturalmente solido».

La cultura di Daverio era più legata alla Lega delle origini che alla Lega di Matteo Salvini? «Lui non era per la Lega di Salvini, era tutto diverso. Era un europeista e un federalista convinto, portava quest’idea nella sua carne. Io la penso come lui. Se l’Europa non si unisce veramente, non andrà da nessuna parte. Sarà irrilevante per la storia».

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