Il reddito procapite di Milano, il più alto d’Italia in percentuale, rischia di assottigliarsi in misura non certo indifferente a causa del caro prezzi, ovvero del ricarico inflattivo che è stato abbondantemente applicato ad ogni genere di prodotto, un po’ meno pressante il ricarico sui servizi. Il grande vantaggio di Milano, e del suo benessere, è sempre più vincolato agli effetti, tutti extra positivi, dell’attrattività; non solo turismo, ma l’insediamento di innumerevoli head quarters di maxi gruppi internazionali che oltre ad assumere italiani, a condizioni salariali ben superiori alla media nostrana e con premi-incentivi motivazionali che da soli possono valere uno o più stipendi di un pari livello di un’impresa italiana, hanno inserito nel contesto milanese dirigenti con al seguito famiglie che a loro volta hanno inserito i figli in scuole sovente straniere pagando fior di rette scolastiche, oltre a una spesa procapite extralarge. Il tema su cui soffermarsi però è quello dei residenti italiani, i quali, in misura superiore ad ogni altra parte d’Italia, sono lavoratori autonomi che dispongono di redditi superiori, e sono in gran misura all’origine del lavoro dipendente del terziario, finanza, commercio, ricettivo.
Ma è proprio la totalità del lavoro dipendente che sta subendo in modo insostenibile il caro prezzi di Milano. È pur vero che in media il salario in città è superiore a quello medio del resto del Settentrione, ma la differenza non è sufficiente a colmare il gap con il costo della vita. Si è creata una situazione che, almeno per un lungo periodo, permarrà pur in presenza di un’inflazione sostenibile sul 2% ma sulla quale c’e un carico di aumenti che si è consolidato nei 18 mesi precedenti in una percentuale che oscilla tra 12 e 30% a fronte di integrazioni salariali, concesse dalle imprese sotto forma di premi, che hanno inciso sul reddito procapite fra 3 e 5%. Il rischio di stagflazione, che già ora si sta manifestando fuori dal centro specie nell’abbigliamento, ma anche alimentare, può allargarsi all’intero contesto. A ridurne l’impatto su commercio e servizi dovrebbe essere il turismo estero, sempre che si mantenga sui livelli del 2023.