MASSIMILIANO MINGOIA
Cronaca

L’ex sindaco Gabriele Albertini e il 25 Aprile: "L’ho sempre festeggiato, eppure...”

L’ex primo cittadino spiega il suo punto di vista: "La Russa ha ragione: nella Resistenza i comunisti puntavano alla dittatura"

Gabriele Albertini con la fascia tricolore durante un corteo per il 25 Aprile

Milano – È il 25 Aprile, la Festa della Liberazione. E le polemiche non mancano, anche perché il Governo Meloni, da alcuni giudicato come il più a destra del Dopoguerra, affronta per la prima volta questa data simbolo. Ma nella storia del centrodestra c’è chi, da sindaco di Milano, è sempre andato a festeggiare la Liberazione: Gabriele Albertini, primo cittadino dal 1997 al 2006, poi europarlamentare di Forza Italia e senatore di Scelta civica.

Albertini, lei, da sindaco, festeggiava il 25 Aprile.

"Sì, ho sempre partecipato con la fascia tricolore a tutte le manifestazioni legate alla Festa della Liberazione: la deposizione di corone a Palazzo Marino, la cerimonia al Cimitero Maggiore e il comizio in Piazza Duomo. Ma non sono mai riuscito a prendere la parola dal palco".

Perché?

"La mia prima volta da sindaco, il 25 aprile 1998, avrei dovuto fare un saluto dal palco, ma nel momento in cui il presidente dell’Anpi, Tino Casali, annunciò la mia presenza si levò una protesta violentissima dalla folla in Piazza Duomo, in particolare dai militanti dei centri sociali. “Mi spiace sia andata così’’, mi disse Casali, intristito da quella che mi pare il caso di definire “partigianeria’’. Da allora, d’accordo con il presidente dell’Anpi, ho sempre partecipato alla manifestazione del 25 aprile sul palco ma non ho mai parlato".

Da sindaco, però, lei, il 2 novembre, il giorno dei morti, si recava prima al Campo della Gloria del Cimitero Maggiore per rendere omaggio ai partigiani caduti e poi, senza fascia tricolore, al Campo 10 dove sono sepolti gli aderenti alla Rsi. Perché?

"Andavo sulla tomba di Carlo Borsani, medaglia d’oro al valor militare, cieco di guerra, ucciso dai partigiani il 29 aprile 1945, quattro giorni dopo la Liberazione e la fine della guerra civile. Il mio era un gesto di pacificazione e di pietà nei confronti dei morti dell’altra parte. Ma, attenzione, non lo feci mai il 25 Aprile perché sarebbe stata interpretata come una provocazione".

Il suo gesto del 2 novembre 1997 fu aspramente criticato dal centrosinistra.

"È vero. Pochi giorni dopo quel 2 novembre 1997, in vista della Prima della Scala del 7 dicembre, ebbi un colloquio telefonico con l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e parlammo di quella polemica sulla mia presenza al Campo 10. Lui mi raccontò che qualche mese dopo il 25 aprile 1945 incontrò su un treno un ex compagno di scuola. Si raccontarono cosa era capitato loro nei mesi precedenti. Ciampi si era unito alla Resistenza, l’altro aveva combattuto per la Repubblica di Salò. Quando si fecero questa confessione – mi svelò Ciampi – si misero a piangere e si abbracciarono. Sì, perché pensarono entrambi che pochi mesi prima si sarebbero sparati, nonostante fossero amici".

Il dramma della guerra civile.

"Esattamente. Quasi tutti la chiamano guerra di Liberazione ma fu anche una guerra civile. Certo, da una parte c’erano ideali affermati dal cammino della civiltà, dall’altra valori sconfitti dalla storia".

Qual è il suo giudizio sul 25 Aprile?

"A me è una data che è sempre piaciuta, è il giorno in cui l’Italia ha riconquistato la libertà dopo il ventennio fascista. Ma ci sono due aspetti critici legati alla Resistenza".

Quali?

"La riconciliazione tra vincitori e vinti non c’è mai stata. Io per nove anni non sono mai stato accompagnato da nessun esponente dell’Anpi al Campo 10 per esprimere pietà per i morti dell’altra parte. Solo l’ultimo anno venne con me un generale alpino che prese parte alla Resistenza. Un badogliano, non un membro dell’Anpi".

Qual è il secondo aspetto critico che prima accennava?

"La Resistenza fu condotta da una pluralità di soggetti: comunisti, liberali, cattolici, militari legati al Re. Ma nella vulgata il monopolio della Resistenza è stato rivendicato dal Pci, che si è appropriato di un valore collettivo facendone il proprio marchio e detenendone – per usare un’espressione di Gramsci – l’egemonia. Questa è una cosa che non mi è mai piaciuta. Anche perché i comunisti hanno fatto la Resistenza con l’ideale di importare in Italia un’altra dittatura, quella del proletariato, come in Unione Sovietica. Uscire dal fascismo per entrare nel comunismo. Questo è un connotato della Resistenza che spesso viene oscurato".

Nelle ultime settimane, però, il presidente del Senato Ignazio La Russa, di FdI, ha distinto proprio tra la parte delle Resistenza che lottava per la liberà e quella che sognava una dittatura stile Urss.

"La Russa ha fatto bene a fare questo distinguo. Una parte della sinistra estrema non vuole che i lager e i gulag vengano affiancati, ma si tratta di due dittature che hanno provocato milioni di morti. Il comunismo sovietico, peraltro, è durato 70 anni e non 12 come il nazismo".

La Russa ha deciso di festeggiare il 25 Aprile all’altare della Patria con Mattarella e Meloni ma poi di andare a Praga a ricordare Jan Palach, il giovane cecoslovacco che nel 1969 si diede fuoco per protestare contro l’invasione dei carri armati sovietici nel suo Paese. Una provocazione?

"No, io interpreto il gesto del presidente del Senato come un chiarimento. È giusto andare all’Altare della Patria. Poi La Russa andrà a Praga per ricordare cos’è successo nell’Europa dell’Est dopo il 1945. In Italia, fortunatamente, noi non abbiamo avuto il tallone comunista perché nel 1948 il Fronte Popolare è stato battuto dalla Dc di De Gasperi, che riuscì a farci stare dalla parte dell’Occidente, della Nato e della libertà".

Ma in Italia c’è stata una dittatura fascista, non comunista.

"Ma il rischio che qualcuno lavorasse per instaurare un’altra dittatura c’è stato eccome".

FdI riuscirà a diventare un partito conservatore a tutti gli effetti e a lasciarsi alle spalle i residui di neofascismo?

"Il Msi, fin dal nome e dal simbolo, si rifaceva al fascismo e alla Rsi, ma poi, nel 1995, c’è stato il congresso di Fiuggi di Alleanza Nazionale, in cui c’è stata un distacco da quella storia. Questa revisione è in atto anche in FdI".