TOMMASO PAPA
Cronaca

L’archistar Mario Cucinella: “Recuperare, non abbattere. Ma non tutto il Liberty è fantastico”

L’allievo di Renzo Piano: "Certe polemiche sopra le righe si rincorrono nel tempo. A Milano c’è necessità di case a prezzi contenuti, il soggetto pubblico dovrà assumere un ruolo centrale".

L'architetto Mario Cucinella

L'architetto Mario Cucinella

Una città sostenibile se fa un salto nel passato, al suo stato preindustriale. Una città senza periferie, che si autoalimenta con i propri materiali, che torna ad essere una città per tutti. Mario Cucinella, 63 anni, palermitano d’origine approdato a Genova e poi a Parigi negli studi di Renzo Piano, da anni impegnato a Milano su più progetti chiave per il futuro, ha fatto della sostenibilità e circolarità del costruire un principio guida.

E lo racconta oggi al Festivaletteratura di Mantova (‘Per un’architettura sostenibile’, al Teatro Bibiena, ore 17). Architetto e designer, vive e lavora tra Bologna e Milano; qui sta ultimando il complesso SeiMilano in zona Bisceglie ed è impegnato nella riqualificazione dell’ Area Expo.

Architetto, ha letto della querelle su Milano sollevata da Vittorio Sgarbi contro i ‘barbari’ che cancellano edifici di pregio del passato? E come pensa che il dibattito sulla conservazione o meno di edifici del passato si inneschi nel tema della sostenibilità?

"Certe polemiche sopra le righe si rincorrono nel tempo. È ovvio che nessuno può pensare di cancellare edifici storici di valore, ma è anche vero che non tutto il Liberty è fatto di cose fantastiche. Qualcuna non lo è, non basta una data per stabilire cos’è demolibile e cosa no. D’altra parte, quando quei palazzi sono sorti erano architettura contemporanea d’avanguardia: immaginare il futuro richiede sempre una dose di coraggio, più che conservare. E a parlare degli sventramenti di Milano ci ha pensato Cederna (l’architetto e giornalista Antonio Cederna, scomparso nel 1996, ndr) molto prima di Sgarbi".

Conservazione o innovazione, il tema della compatibilità ambientale degli edifici, resta centrale. Come affrontarlo?

"Se ci riferiamo alle nostre grandi città - Milano, Bologna, Roma - non possiamo che immaginare interventi limitati che ne rispettino il valore. Pensiamo al tema energetico: la città storica consente di migliorare i serramenti senza stravolgerne l’estetica o di dotare gli edifici di impianti efficienti di condizionamento termico. E questi accorgimenti già darebbero buoni risultati".

E in quella che lei definisce la città moderna, i palazzi degli anni Sessanta-Settanta, quali soluzioni immagina?

"La città moderna, che non è giusto chiamare periferia anche per chi la abita, ha molte possibilità di cambiamento e di miglioramento: un’efficiente resa energetica può e deve corrispondere al miglioramento dell’estetica, il che significa rendere più gradevole la scenografia urbana complessiva. Così, l’intervento sull’energia diventa anche un atto creativo che restituisce dignità all’edificio e a chi lo abita".

Ma i costi...

"Il recupero ambientale ed energetico non è solo un costo. Ci sono altri metri di giudizio. Con il Covid abbiamo imparato quanto conta un balcone e aggiungere balconi ai palazzi moderni non costerebbe una follia. Oggi si parla tanto dei bonus, ma l’ambizione era quella che producessero benefici, da calcolare assieme alla spesa".

Ha parlato della città ‘che c’è’. E quella che non c’è come la immagina?

"Immagino che non ce ne sarà poi tanta, ma che dovrà essere diversa. Sappiamo che Milano costa molto, ma qualcosa si può fare. Nel suo futuro dovrà avere un ruolo essenziale il soggetto pubblico perché il mercato da solo non basterà. Si è visto con gli studenti, ma la necessità di case a prezzi sostenibili è molto più vasta. Vienna, in questo senso, è un esempio virtuoso".

Nel suo libro ‘Il futuro è un viaggio nel passato’ lei tratteggia una ‘città miniera’ da sfruttare e di architettura ‘vernacolare’, come ispirata da una lingua antica. Anche queste saranno caratteristiche della sostenibilità?

"È una prospettiva, una visione. La città si rigenera continuamente e produce materiali che possono entrare in un’economia circolare. Quanto al secondo punto, cosa ci serve oggi? Costruire a impatto zero, no? Ma lo facevamo già e con grandi risultati, prima della rivoluzione industriale. Torniamo alle origini, allora. Ai saperi del passato. Spesso sono più utili della tecnologia. Anche se parlano in vernacolo".