La Casa Rifugio senza indirizzo: "Così le vittime tornano a vivere"

La struttura del Centro Ambrosiano di Solidarietà che accoglie le donne che hanno subìto violenza .

Trasformare l’incubo di una vita fatta di violenze e umiliazioni in speranza e autonomia. È l’obiettivo e l’impegno delle Case Rifugio, le strutture che accolgono e proteggono le donne vittime di violenza, e il cui indirizzo è segreto proprio per evitare nuove persecuzioni da parte degli uomini. Strutture che, nonostante l’esplosione dei casi e dell’attenzione sul fenomeno della violenza maschile sulle donne, stanno in piedi solo grazie alle (magre) convenzioni con i Comuni e i fondi regionali.

A Milano ce ne sono nove, due delle quali gestite dal Ceas, il Centro Ambrosiano di Solidarietà, che attualmente ospita 7 donne con bambini e 6 donne sole. Arrivate qui dopo un doloroso percorso di consapevolezza. Perché l’accoglienza nella struttura può avvenire solo con il consenso della vittima. "Spesso – spiega la coordinatrice delle Case Rifugio del Ceas, che resta anonima proprio per garantire la massima sicurezza alle ospiti – fanno fatica ad accettare l’aiuto che viene loro offerto. La segnalazione ci arriva dai Pronto Soccorso, dai Centri antiviolenza, o dalle forze dell’ordine. Ma poi sono loro che devono decidere di allontanarsi dal marito, accettando le conseguenze penali del loro atto. Un passo difficile che per paura non sempre fanno".

"Le donne che accogliamo – prosegue la coordinatrice – arrivano da esperienze durissime di abusi e umiliazioni. Spesso sono sole e terrorizzate. Hanno paura di trovarsi senza casa e vedersi portare via i figli. E il marito ne approfitta per aumentare la loro segregazione. Vieta loro di uscire da sole, le controlla con continui messaggi e imposizioni". E anche quando la violenza è intercettata e assistita, il percorso da fare resta lungo e faticoso. "Nella casa rifugio di solito restano due anni. Prima di tutto bisogna ricostruire una personalità umiliata per anni: serve supporto psicologico e umano. Un lavoro delicato soprattutto per le donne con figli, che qui provano a tornare a fare le mamme. Cerchiamo innanzitutto aiutarle a ritrovare le proprie risorse di donne. Risorse che hanno dentro di loro ma che sono schiacciate dalle violenze. Da qui, da questa dignità ritrovata, proviamo poi a ricostruire il rapporto tra madre e figlio. I bimbi vanno a scuola e poi le mamme si occupano di loro, come dovrebbe succedere in condizioni normali".

Il Ceas, attraverso la rete di supporto alle vittime di violenze, si occupa poi di trovare alle ospiti casa e lavoro. "Tutte le donne che abbiamo assistito negli anni – conclude la coordinatrice del Ceas – hanno poi conquistato una vita nuova, fatta di lavoro e affetto. Una nuova normalità".

Luca Tavecchio

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro