Il raid punitivo a Malta: "L’ho spaccato tutto"

Blitz anti ’ndrangheta dei carabinieri: negli atti il pestaggio di un imprenditore. In cella pure un geometra dell’Anas: io reggo il sistema

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di Nicola Palma

Un pestaggio brutale. Organizzato nei minimi dettagli e messo in atto con spietatezza. La vittima è un imprenditore italiano residente a Malta, raggiunto da tre presunti esponenti della locale di Lonate Pozzolo e picchiato per un vecchio debito. L’episodio è riportato nell’ordinanza di custodia cautelare notificata ieri dai carabinieri del Nucleo investigativo di via Moscova a undici persone, a valle dell’indagine Krimisa due sulla ’ndrina guidata da Vincenzo Rispoli. I protagonisti del raid a domicilio, avvenuto il 25 gennaio 2020, sono Giovanni Lillo, marito della figlia del boss Francesca (entrambi in manette), e i fratelli Michele e Giuseppe Di Novara (quest’ultimo cognato del capoclan). L’antefatto: i tre, come accerteranno dalle intercettazioni i militari coordinati dai tenenti colonnelli Antonio Coppola e Cataldo Pantaleo, pretendono dal costruttore, che ha diversi cantieri edili nell’isola del Mediterraneo, il pagamento di tremila euro per prestazioni lavorative in nero.

Il mancato versamento dei soldi scatena la rabbia del gruppo, che decide di prendere l’aereo per farsi "dare i contanti". "Ciao bagasci, mi raccomando! Ritornatevene con i piccioli!", li saluta Francesca Rispoli alla partenza da Linate. Quello che succede dopo viene ricostruito grazie ai dialoghi captati dai militari e ai referti medici. Il primo ad arrivare è Lillo, che inizia a danneggiare i macchinari dell’imprenditore e ne dà notizia in tempo reale alla compagna: "Mo’ che viene zio Pino (Giuseppe Di Novara, ndr) andiamo sull’altro cantiere... se non ci dà i soldi... e iniziamo a spaccare tutto". Avuta notizia della spedizione da S.C., il tramite con i tre operai, il costruttore si affretta a fare un bonifico da duemila euro, nel tentativo di placare l’ira dei creditori. Niente da fare. I fratelli Di Novara lo trovano, lo aggrediscono e gli rapinano soldi e cellulare: "L’ho spaccato tutto... tutto pieno di sangue... ho le chiavi e il telefono io... ho il marsupio io... non ha neanche una lira...", il resoconto di zio Pino a Francesca. Che, dal canto suo, è preoccupata di quello che potrebbe fare il marito: "Giovanni mio è criminale se lo picchia, non è come zio Pino che gli tira due schiaffi e la smette... io, Giovanni mio lo conosco, Giovanni non si ferma a due schiaffi, io l’ho visto fare a botte, fa paura Giovanni a fare a botte!". Parole profetiche.

"Amore, sono andato al bowling stasera, ho fatto strike", dirà orgoglioso Lillo alla compagna. "Gli ho dato un pugno da sotto – gli altri dettagli nel racconto a un amico al rientro in Italia - i denti si schiacciarono... gli diedi il primo pugno sotto al mento gli diedi... e non capì più nulla in quel momento...". E ancora: "L’ho demolito tutto... all’ospedale l’ho mandato, gli ho tolto quattro denti... due costole rotte... l’ho preso a calci e pugni... e i soldi me li ha dati tutti". Il riscontro arriva dal fascicolo sanitario acquisito dall’autorità giudiziaria maltese presso il Mater Dei Hospital, dove il costruttore si presentò quella sera riferendo di essere stato aggredito: "Ferite da trauma, perdita di più denti, abrasioni alla schiena, ematoma al lato sinistro del capo, frattura della dodicesima costola, sospetta frattura composta della decima costola, leggero pneumotorace lato sinistro". Un massacro.

Con Riccardo Lazzari, invece, Cataldo Casoppero non ebbe bisogno di usare la forza il 13 aprile 2019. Bastò un breve colloquio in macchina per instaurare sin da subito "un rapporto di confidenza", come annota il gip Alessandra Simion. Peccato che il primo fosse un geometra dell’Anas impegnato in un controllo in un cantiere stradale senza autorizzazione e il secondo fosse il titolare della ditta che stava eseguendo quei lavori sulla statale 341, nel Comune di Vanzaghello, arrestato tre mesi dopo nella prima retata sulla locale di Legnano-Lonate Pozzolo. Dopo quel primo contatto, ce ne fu un altro, durante il quale Casoppero promise "a Lazzari un piccolo escavatore quale compenso per le irregolarità commesse"; compenso che "Lazzari accettava senza alcuna remora, preoccupandosi immediatamente di come recuperare e trasportare il macchinario e siglando definitivamente il patto affermando: “va bene, io per me è tutto a posto, io non ho visto niente“". Di più: in quella macchina si parlò pure di progetti futuri, di parentele eccellenti ("A casa mamma di cognome fa Perre, quindi penso che è un cognome che...", la frase del dipendente Anas) e di un modus operandi consolidato da parte di Lazzari ("Qui di colleghi miei un po’ sceriffi ci stanno, però... però finché ci sto io che tengo, le redini, regge il sistema..."). Ieri quel sistema si è sgretolato. E il trentanovenne di Terni è finito in cella per corruzione.

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