NICOLA PALMA
Cronaca

Il piano anti-terrorismo. La simulazione sulla M3 per liberare gli ostaggi e fermare i suprematisti

Esercitazione nel mezzanino di San Donato coi reparti speciali dell’Arma. I quattro asserragliati, le urla, il blitz del Gis: così si disinnesca la minaccia.

Esercitazione nel mezzanino di San Donato coi reparti speciali dell’Arma. I quattro asserragliati, le urla, il blitz del Gis: così si disinnesca la minaccia.

Esercitazione nel mezzanino di San Donato coi reparti speciali dell’Arma. I quattro asserragliati, le urla, il blitz del Gis: così si disinnesca la minaccia.

Gli attori non hanno studiato il copione in anticipo. La simulazione va affrontata senza conoscerne prima lo svolgimento: i test servono proprio per affinare la capacità di risposta ad attacchi in ambiente urbano. Capolinea della linea gialla a San Donato, la piazza si anima poco prima dell’una di ieri. Sgombre le corsie percorse da centinaia di autobus di linea, compresi quelli che partono dal vicino terminal accanto al parcheggio multipiano. In strada 110 tra carabinieri, operatori di pronto soccorso e personale Atm per il supporto logistico all’esercitazione coordinata dal Comando provinciale di via Moscova, guidato dal generale Pierluigi Solazzo: l’ultimo briefing in caserma ha definito i dettagli del piano, con la consapevolezza che non tutte le variabili si possono prevedere a tavolino. Il compito di tenere insieme la macchina spetta al comandante del Reparto operativo, il colonnello Antonio Coppola: è lui ad avere il quadro d’insieme, perennemente con la radio nella mano destra per guidare, dare disposizioni e dialogare a distanza col Comando generale dell’Arma a Roma.

La prova, anche in vista dell’appuntamento con i Giochi invernali del 2026, punta a sventare la minaccia di quattro suprematisti. La prima comunicazione parla di una Fiat Uno che viene intercettata per caso da una pattuglia del Nucleo Radiomobile e fermata per un controllo. Il conducente ignora l’alt e accelera, con la gazzella all’inseguimento: spari dall’utilitaria in corsa, nessuno viene colpito. Scatta il primo alert alla centrale operativa, che, come succede in questi casi, dirama la segnalazione agli altri equipaggi, compresi quelli della Compagnia Monforte. A San Donato, però, cambia qualcosa: gli aggressori si rifugiano nel mezzanino della metropolitana e da lì proseguono di corsa verso il treno fermo in banchina. Un testimone ha sentito che uno ha detto all’altro: "Mi raccomando lo zaino". Così la borsa che un componente del gruppo tiene stretta al petto diventa un fattore: l’ipotesi da non scartare è che contenga esplosivo. Il primo catturato, preso dopo alcuni minuti, conferma il sospetto nell’interrogatorio: dice di far parte di un gruppo eversivo, in città per piazzare un ordigno vicino a un obiettivo ritenuto sensibile.

Nel frattempo, due vagoni sono stati presi dagli altri tre, con i passeggeri che in un amen si trasformano in ostaggi: latitanti e rapinatori di solito non lo fanno, sparire nel nulla è la loro unica preoccupazione. Ed ecco che un’operazione quasi di routine muta di livello e cresce d’improvviso di pericolosità. Sono terroristi: il metrò non era il loro obiettivo prioritario, ma l’imprevisto lo ha reso tale. La catena si attiva. Via la corrente elettrica, il treno viene bloccato sui binari. L’allarme è immediato e giunge a chi per mestiere vive il turno di servizio in costante attesa. Le Api, acronimo che sta per "Aliquote di primo intervento", sono state messe in campo dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 e dipendono dai Comandi provinciali, in questo caso di Milano e Brescia. Le Sos, le "Squadre di supporto operativo", sono state fondate un anno dopo e sono inglobate nei Reggimenti, in questo caso il Terzo Lombardia.

Tecnicismi a parte, gli uomini che si muovono sincronizzati con caschi, giubbotti antiproiettile e fucili d’assalto fanno parte dei reparti speciali chiamati a fronteggiare situazioni ad altissimo rischio. Le informazioni sul campo sono fondamentali per studiare il contesto e predisporre contromisure: un ruolo decisivo lo svolge il negoziatore del Nucleo investigativo, che si muove di pari passo con le squadre d’élite. I tempi si dilatano, ma allo stesso tempo le decisioni vanno prese rapidamente. Scordatevi le scene da film d’azione: l’emergenza vera spesso si coniuga con lunghissimi appostamenti dietro una colonna di cemento e si risolve sempre con un lavoro di squadra in cui ognuno recita al meglio la sua parte. L’adrenalina c’è, ma va diluita e maneggiata con cura. Dopo un’attenta valutazione, viene coinvolto l’ulteriore livello, quello massimo: da un Ducato bianco scendono gli incursori del Gis, il "Gruppo di intervento operativo" di stanza a Livorno, che assumono la direzione; con le teste di cuoio c’è il cane Togo, un pastore belga con quattro manicotti neri a proteggere le zampe, una maschera da sub a coprire gli occhi e una museruola che lascia libero il naso. La mediazione avanzata libera i sequestrati, che vengono prelevati rapidamente da Api e Sos e portati in salvo: alcuni sono lievemente feriti, ma per fortuna è opera di un truccatore; in ogni caso, i sanitari di Areu e i volontari della Croce Rossa Italiana, con la dg Welfare della Regione parte attiva nella buona riuscita dell’addestramento, li trasportano comunque in ambulanza negli ospedali San Carlo, San Paolo e Policlinico.

Ore 4.03, via alla fase finale: Togo e i Gis partono, i terroristi finiscono a terra ammanettati. Bastano un paio di minuti. L’ultimo miglio lo percorrono i robot degli artificieri per far brillare la bomba. L’area resta cinturata ancora per un po’, con le auto di traverso agli incroci e le fiaccole a indicare le vie d’uscita. Missione compiuta. Sperando che una scena del genere non debba mai replicarsi nella realtà.