
Il messaggio dell’arcivescovo a suore e sacerdoti. Partecipano alla cerimonia anche le monache di clausura "La vita consacrata può vincere la tentazione di avere nostalgia del passato e angoscia per il futuro".
Nella diocesi di Milano vivono tremila religiose e 800 religiosi; 300 membri di istituti secolari e qualche centinaio di appartenenti alle nuove forme di vita consacrata, 110 le appartenenti all’Ordo Virginum. Per loro si è aperto ieri il “Giubileo della vita consacrata“, con una processione nel cuore della città, tra lumini e canti in tutte le lingue. L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha invitato anche le abbadesse e le priore dei monasteri femminili a concedere una deroga alla clausura per permettere alle religiose di partecipare alla celebrazione.
"La vita consacrata può vincere la tentazione di avere nostalgia del passato, delle glorie, dei risultati, dei numeri del passato", ha sottolineato l’arcivescovo durante l’omelia in Duomo. "Può vincere anche la tentazione dell’angoscia per il futuro, l’incombere dell’incertezza, l’esperienza della precarietà, la necessità di abbandonare posizioni importanti e luoghi e case bellissimi". "Non conta essere giovani o vecchi, essere tanti o pochi, essere di origine italiana o di origine straniera, essere uomini o donne – ha ricordato Delpini –. Quello che conta, la ragione per cui possiamo avere stima di noi stessi è solo questo: essere avvolti di luce dalla gloria di Dio, cioè accogliere l’amore che ci rende capaci di amare, secondo il comandamento di Gesù: amatevi, come io vi ho amato".
L’arcivescovo ha poi invitato sacerdoti e suore a coltivare sempre lo stupore: "Ogni persona consacrata dimora nello stupore, sempre impara di nuovo chi sia Gesù, non solo sui libri, non solo nel raccoglimento della preghiera e nell’intimità della confidenza, ma anche nel sentire altri che parlano di Gesù".
"I consacrati sono avvolti dalla gloria di Dio – ha proseguito Delpini – perciò non soffrono per sé stessi, non si ripiegano su di sé come vittime che si compiangono, ma soffrono perché l’umanità preferisce le tenebre alla luce. E, poiché seguono Gesù, non possono tirarsi indietro. Il rifiuto, l’ostilità, l’indifferenza non bastano a convincerli che è meglio lasciar perdere. Piuttosto sono lì, insieme con Gesù con la loro piccola luce, determinati a offrire luce". Ha concluso ricordando il "quotidiano, commovente e glorioso": "Abitiamo per lo più a Nazareth, cioè nel quotidiano che non fa rumore, che non sta sotto i riflettori, e lì abitiamo con Gesù che trasfigura il quotidiano nella grazia di crescere nella conformazione a lui, l’amore che ci rende capaci di amare".