
Maurizio Rebuzzini (nel riquadro) e gli agenti fuori dal palazzo dove è stato trovato senza vita
Milano, 19 settembre 2025 – "Sono andato a cercarlo perché non mi rispondeva al telefono", spiega Filippo Rebuzzini, uno dei due figli gemelli di Maurizio, 74 anni compiuti lo scorso 14 luglio, morto alle 19.45 di martedì all’ospedale Fatebenefratelli. Il referto medico consegnato agli investigatori non pare lasciare spazio a troppe interpretazioni: le escoriazioni "multiple" e la "lesione circonferenziale del collo" dicono che il notissimo critico fotografico è stato strangolato, anche se sarà l’autopsia a dare il responso definitivo sulle cause del decesso.
È stato proprio il quarantaquattrenne, che vive a poche centinaia di metri di distanza, a dare l’allarme al 112 alle 18.42, dopo aver trovato il padre in arresto cardiaco sul ballatoio dello studio professionale al piano interrato di via Zuretti 2/A, stabile in ristrutturazione a due passi dalla Stazione Centrale.
Lì ci è andato, ha riferito agli investigatori, perché il silenzio del papà gli è parso subito strano: "Anche se stava scrivendo un articolo – ricorda il giorno dopo –, se io gli chiedevo di prendere un caffè, mollava lì tutto e arrivava". Così non è stato l’altra sera. Filippo ha anche provato a rianimare il genitore, con l’aiuto di un vicino, ma i tentativi si sono rivelati vani.

Gli specialisti della Squadra mobile, coordinati dal pm Maria Cristina Ria e guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal funzionario Francesco Giustolisi, ne hanno raccolto la testimonianza la notte scorsa in Questura e gli hanno sequestrato il cellulare per trovare riscontri alla ricostruzione che ha messo a verbale: in particolare, gli approfondimenti, incrociati con i dati che emergeranno dallo smartphone del padre, puntano a capire con precisione a che ora l’uomo abbia cercato di mettersi in contatto con il settantaquattrenne; verifiche che andranno avanti di pari passo con lo studio dei tabulati telefonici. Dal passato familiare, spunta un intervento delle forze dell’ordine molto datato nel tempo (parliamo del 2016) per una lite tra padre e figlio. Poi più nulla.
I poliziotti di via Fatebenefratelli stanno acquisendo anche le immagini registrate dalle telecamere di videosorveglianza installate nel condominio e nella zona circostante, nella speranza che qualche occhio elettronico abbia ripreso l’arrivo o la fuga di qualcuno. Nel cortile interno, su cui affacciano pure altri edifici confinanti, ci sono lavori in corso per il rifacimento delle facciate.
Maurizio Rebuzzini, separato, viveva da sessant’anni in un appartamento di via Edolo 8, la strada parallela a quella in cui aveva lo studio (e in cui risultano residenti pure i due figli in un appartamento qualche isolato più avanti). Il critico trascorreva le sue giornate al piano interrato del civico 2/A, nel laboratorio che si sviluppa su due piani impreziosito da un’invidiabile collezione di macchine fotografiche e saturato da una libreria con migliaia di volumi ordinatamente impilati in scaffali che arrivano fino al soffitto.
"Mio padre era una persona buona, gli volevano tutti bene, non era uno che litigava. Conoscendolo, è remotissima la possibilità che qualcuno possa avergli fatto del male", si dice sicuro il figlio, convinto che il decesso del padre sia stato provocato da un malore o da un incidente. "Ha operato con una grande etica e professionalità, sempre per il bene e per l’interesse culturale della fotografia. Questo è il motivo per cui era unanimemente apprezzato e grande amico di tanti fotografi importanti – il commosso ritratto –. La fotografia era la sua vita. Non ho un ricordo di mio padre che fa una vacanza. Non c’è stato un giorno in cui non passasse dallo studio a fare qualcosa inerente alla rivista o a un’idea che aveva in testa".
E ancora: "Tutta la sua vita ha sempre ruotato intorno alla fotografia, che era la sua grande passione e sostanzialmente l’unica cosa che gli interessasse. Era difficile avere una conversazione con lui senza arrivare a parlare di fotografia, ma lui utilizzava la fotografia per parlare di vita. Una cosa che diceva spesso era: ‘La fotografia non è un arido punto di arrivo, ma uno splendido punto di partenza, per cui si può arrivare a parlare di tutto’. Ed è quello che lui ha fatto". Filippo conclude così: "Purtroppo la fotografia italiana ha perso un grande professionista e una grande persona".