ANDREA SPINELLI
Cronaca

Il Boss a San Siro, 21 giugno 1985: "Quando attaccò Born in the Usa la fine del mondo sembrò vicina"

Il racconto di quel concerto di Furio Zucco, responsabile del servizio sanitario all’interno dello stadio "Alla prima nota l’enorme massa umana si spinse verso il palco: ci furono 300 soccorsi in un quarto d’ora" .

Il racconto di quel concerto di Furio Zucco, responsabile del servizio sanitario all’interno dello stadio "Alla prima nota l’enorme massa umana si spinse verso il palco: ci furono 300 soccorsi in un quarto d’ora" .

Il racconto di quel concerto di Furio Zucco, responsabile del servizio sanitario all’interno dello stadio "Alla prima nota l’enorme massa umana si spinse verso il palco: ci furono 300 soccorsi in un quarto d’ora" .

I 30 euro meglio spesi della vita. Centesimo più, centesimo meno, a tanto porta infatti la rivalutazione storica delle 20mila lire sborsate nel 1985 dai fan di Bruce Springsteen per il primo show del ragazzo nato per correre tra i sacri spalti del “Meazza”. Altri prezzi, altri tempi, altro stadio, altra Milano. Ma stesso Bruce. Erano quegli anni Ottanta in cui a San Siro suonavano ancora Bob Marley, Santana e Bob Dylan, Genesis, Duran Duran, David Bowie. Impietoso il paragone con l’oggi. "Di fronte a quella sconcertante isteria del pubblico, mi resi conto che in Italia quella era la norma: donne che mandavano baci e scoppiavano in lacrime, uomini che scoppiavano in lacrime e mandavano baci, tutti che ci giuravano amore eterno battendosi il cuore con il pugno", ricordava il Boss a proposito di quel 21 giugno 1985. "Alcuni persero i sensi… e non avevamo ancora cominciato. Quando attaccammo ‘Born in the Usa’, la fine del mondo sembrò vicina: lo stadio vibrava dalle fondamenta e noi suonavamo come se ne andasse della nostra vita. Madonna...".

Le stesse suggestioni che racconta, da altra angolazione, il dottor Furio Zucco, medico anestesista rianimatore presente tra quegli spalti quarant’anni fa come lo sarà domani e giovedì prossimo.

Zucco, la presenza di un presidio sanitario all’interno dello stadio fu tra le principali innovazioni di quel concerto. E l’idea venne a lei.

"Ora c’è una precisa indicazione normativa in materia che impone, 45 giorni prima degli eventi negli stadi, negli ippodromi o quant’altro, la predisposizione di un dettagliato piano sanitario. Ma allora non c’era nulla. Tutto nacque da un incontro fortuito con Enrico Rovelli, promoter locale del concerto di Springsteen con la sua Kono Music. Al tempo lavoravo all’Ospedale di Garbagnate e l’esperienza fatta cinque anni prima tra il pubblico del concerto di Bob Marley mi aveva fatto capire che eventi di quella portata avevano bisogno di un supporto sanitario adeguato alle loro dimensioni".

Una novità, o quasi.

"In fatto di assistenza, avevo già organizzato qualcosa di simile al folk festival di musica celtica di Monlué o al primissimo concerto milanese de Kiss al Vigorelli, ma San Siro, per dimensioni, era tutta un’altra cosa. Tenuto conto delle cronache estere del tour di Springsteen che segnalavano un concerto caratterizzato da molta pressione sottopalco, Rovelli accolse con favore il mio progetto, anche per il fatto che si trattava del primo grande evento di massa dopo la strage dell’Heysel coi suoi 39 morti e circa 600 feriti".

Com’era formata la sua squadra?

"Partii da Garbagnate, in moto, alla testa di un’autocolonna di dodici ambulanze. All’interno dello stadio operarono otto medici e otto infermieri, anestesisti e rianimatori di area critica coadiuvati da 110 soccorritori opportunamente appostati sugli spalti per tenere sotto controllo ogni angolo dello stadio. Va tenuto conto che al tempo San Siro aveva solo due anelli e il palco non era posizionato verso la tribuna arancione, ma verso quella verde, quindi nel prato, a distanziare il pubblico, non c’erano né il pit né le barriere antipanico".

Come andò?

"All’inizio dello show la gente si spinse in avanti creando un’onda d’urto che ci costrinse a circa 300 interventi sanitari nel primo quarto d’ora. E, alla fine, gl’interventi furono 480-500".

Altri tempi.

"Sì, per fortuna. Anche se quel tipo di situazione andò avanti per qualche anno ancora. Ricordo, ad esempio, che nell’87, sempre a San Siro, il manager David Zard salì sul palco due volte a fermare il concerto dei Duran Duran e chiedere al pubblico schiacciato sulle transenne di fare tre passi indietro".

Il tempo passa inesorabile. Da appassionato, le crea un po’ di malinconia pensare che domani Little Steven non sarà nella E-Street Band a causa dell’intervento d’appendicite affrontato d’urgenza qualche giorno fa a San Sebastian e che mancherà pure Patti Scialfa alle prese dal 2018 con quella forma tumorale al sistema immunitario svelata nel documentario “Road Diary: Bruce Springsteen and the E Street Band”?

"Le cose vanno così, ma l’energia che il settantacinquenne Springsteen sa ancora sprigionare sul palco continua a rendere il servizio sanitario assolutamente necessario. Scaramanticamente loro non lo richiedono, ma, io che ne ho la responsabilità, punto al massimo dell’efficienza. Perché non si sa mai".