Caso Uva, "il fatto non sussiste": la corte d'Appello assolve poliziotti e carabinieri

Confermato il verdetto di primo grado per la morte dell'artigiano varesino avvenuta nel 2008

Giuseppe Uva

Giuseppe Uva

Varese, 31 maggio 2018 - La corte d'Assise d'Appello di Milano ha assolto - "perchè il fatto non sussiste" - i due carabinieri e i sei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva, avvenuta nel giugno del 2008 a Varese. I giudici hanno in sostanza confermato il verdetto di primo grado. Le accuse erano di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona. La sentenza è giunta dopo circa 4 ore di camera di consiglio. 

LA SENTENZA - I giudici della prima corte d'Assise d'Appello di Milano, presieduti da Maria Grazia Bernini (a latere la collega Barbara Bellerio), rispetto alla sentenza di primo grado, nell'assolvere tutti gli imputati riguardo all'accusa di sequestro di persona, hanno scagionati con una formula più ampia anche i due carabinieri, sentenziando "perché il fatto non sussiste". Le parti civili sono state condannate alle spese processuali. Le motivazioni saranno depositate in 90 giorni

LE RICHIESTE  - Giuseppe Uva fu fermato nel giugno 2008 da due carabinieri mentre stava spostando delle transenne dal centro di Varese. Fu poi portato in caserma e infine trasportato con trattamento sanitario obbligatorio all'ospedale di Circolo di Varese, dove morì la mattina successiva per arresto cardiaco. Secondo il sostituto pg Massimo Gaballo - ha chiesto di condannare a 13 anni i due militari e a 10 anni e mezzo i sei agenti, per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona - la morte dell'operaio fu una conseguenza, insieme ad altre cause, tra cui una sua pregressa patologia cardiaca, delle «condotte illecite» degli imputati. Condotte scaturite dalla decisione dei due carabinieri di «dare una lezione» al 43enne, che si sarebbe vantato di una presunta relazione sentimentale con la moglie di uno dei due. Diversa la tesi dei difensori degli imputati, che hanno sostenuto che non vi fu quella sera «nessuna macelleria, nessuna azione di violenza» e che l'accusa «è stata gonfiata» per effetto «di un aspetto mediatico e televisivo che ha spettacolarizzato la vicenda».

falseLE REAZIONI - "La legge non è uguale per tutti. Sono anni che infangate il nome di mia madre e di mio zio e non avete mai avuto rispetto della nostra famiglia". Questo lo sfogo di Angela, nipote di Giuseppe Uva (nella foto), dopo la lettura della sentenza con la quale la Corte d'Assise e d'Appello di Milano ha assolto i due carabinieri e i sei poliziotti che la notte tra il 13 e il 14 giugno del 2008 avevano fermato l'operaio 43enne in centro a Varese. Gli imputati, tutti presenti in aula, e i loro legali, hanno reagito invitando la nipote di Uva a calmarsi. La donna, però, ha continuato a protestare. "Per 10 anni ci hanno infangato - ha detto gridando, mentre si allontanava - mentre noi non lo abbiamo mai fatto". falseLa sorella di Giuseppe, Luicia Uva, dopo la lettura della sentenza si è invece avvicinata al pg Massimo Gavallo e gli ha stretto la mano ringraziandolo: "Per la prima volta, abbiamo avuto un pg dalla nostra parte". Nei precedenti grado di giudizio, i rappresentanti dell'accusavevano sempre chiesta l'assoluzione degli imputati. Poi, polemicamente, Lucia è andata a stringere la mano anche a uno dei poliziotti assolti (nella foto)L'avvocato Fabio Ambrosetti, difensore della famiglia di Giuseppe Uva, parla di "una sentenza pericolosa. Ovviamente lette le motivazioni faremo subito ricorso in Cassazione". Il legale si è detto stupito soprattutto del fatto che i carabinieri, che dopo aver fermato Uva in centro a Varese lo avevano portato in caserma, siano stati assolti dall'accusa di sequestro di persona. "Preoccupa soprattutto che ci possa essere una limitazione della libertà personale quando non ci sono esigenze di identificazione o ragioni reali", ha affermato Ambrosetti. 

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