
Ai carabinieri che nel marzo 2020, in pieno lockdown, lo fermarono per un controllo sul rispetto delle restrizioni anti-Covid, dichiarò di chiamarsi "Pamela" e non "Luis" come indicato nei suoi documenti di identità. Finito sotto processo per falsa attestazione a pubblico ufficiale, è stato assolto dal giudice del Tribunale di Lecco "perché il fatto non sussiste". È successo a un trans di Colico, comune della sponda lecchese del Lago di Como. La sua assoluzione è scattata soprattutto per la chiara "assenza di dolo", come emerge dalle motivazioni della sentenza. "È vero, si legge nel provvedimento firmato dal giudice Paolo Salvatore, che l’imputato aveva fornito false generalità ai militari. Il punto è che "in tal modo aveva inteso le generalità nelle quali (per ragioni di identità di genere), si riconosce ed è riconosciuto nell’ambiente sociale di riferimento".
E soprattutto, scrive ancora il giudice lecchese, "è mancata in capo all’imputato la coscienza e la volontà" di mentire. Nel corso del processo è stato infatti dimostrato come il trans "non abbia arrecato alcuna lesione della fede pubblica" dato che "i pubblici ufficiali non sono stati indotti in errore e non hanno in alcun modo fatto affidamento sull’attestazione dell’identità sottoscritta dall’imputato, dal momento che, grazie alla fattiva collaborazione dello stesso, nello spazio di pochi minuti sono addivenuti alla sua esatta identificazione". Soddisfatta Debora Piazza, avvocato difensore del
trans: "Lei è sempre stata imprigionata in un corpo che non è il suo. E per la prima volta lo Stato italiano ha riconosciuto la donna che è in lei", ha commentato il legale. An.Gi.